Dopo aver lanciato artisti come Noyz Narcos, Baby K, Capo Plaza, Quadraro Basement, l’etichetta del rap underground indipendente dal 2005, torna con un nuovo artista, destinato a farsi ascoltare dagli amanti della musica Urban e non solo: Pelle.

Milanese, classe 1994, Pelle, al secolo Stefano Pellegrino, debutta sulla scena italiana il 15 gennaio con il suo primo singolo, 23:23 accompagnato dal videoclip di Mauro Russo. Un brano dalle connotazioni noir, che diventa inno alla vita, nel momento della sua negazione.

Una storia vera, quella dell’idea di auto-distruzione del giovane artista milanese, che si fa esempio per tutti nella sua rivendicazione della vita, diventando paradossalmente un nuovo inizio.

23:23 è, infatti, una lettera d’addio alla vita, scritta in un momento di massima depressione, che, nell’attimo stesso in cui viene scritta si trasforma in superamento del malessere, grazie alla musica. Una storia vera, un racconto reale, una parabola sulla vita che parte dall’autodistruzione. La lettera non è mai stata mandata, nella musica la rivincita, la forza di ripartire.

Come in Assolo, il disco d’esordio previsto per primavera 2020, Pelle è un narratore di emozioni, prima di tutto quelle vissute sulla “sua pelle”: dalla depressione e la solitudine alla forza e il coraggio.

23:23 in uscita il 15 gennaio anticipa l’album di debutto di Pelle, Assolo: un concept album, il viaggio di una generazione alla scoperta e alla ricerca della serenità attraverso un sound rap e pop dai contenuti quotidiani affidati a un uso della parola ragionato e attento. Dentro ci sono i viaggi di Stefano, gli incontri e la vita di un giovane 26enne “di provincia”: c’è Milano, Londra, Barcellona, Jericoacoara, Miami e Ibiza. C’è il suo modo di amare, il modo di amare di un’intera generazione, c’è voglia di amare e di sentirsi amati.

Mi chiamo Stefano Pellegrino, in arte Pelle, ho 26 anni e sono nato a Gattinara, un paese di provincia. Un paese in cui è difficile crescere se non hai occhi per vedere oltre i confini di una micro società con sogni di piccolo taglio. Fu mia madre a persuadermi a scappare letteralmente da quel posto, lei sapeva bene cosa voleva dire sentirsi imprigionati in una vita che non desideri e non voleva che questo accadesse anche a me. Fino a quel momento però, la vita mi strappò dalle mani la possibilità di avere un’ infanzia felice. L’argomento principale di cui sentivo sempre discutere in casa erano i soldi. Quei maledetti soldi. Non bastavano mai, nè per avere ciò che gli altri avevano, ne per riuscire ad intravedere un velo di serenità sul volto dei miei. E così, errore dopo errore eravamo rimasti intrappolati in quella che Robert Kyosaki definisce la “corsa del topo”, un labirinto di debiti in cui una volta entrati è difficile uscirne. Io però la mia fuga l’avevo trovata: la scrittura. 

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