Carlo Marino intervista il Prof. Antonello Blasi, Docente della Pontificia Università Lateranense
In occasione della presentazione del libro “L’arte di far incontrare i cuori” di Don Enzo Ferraro, ed. Città Nuova pagine 100, a Roma, presso la Parrocchia di Santa Gemma Galgani, abbiamo intervistato il 18 marzo, il Prof. Antonello Blasi, Docente di Diritto ecclesiastico e concordatario presso la Pontificia Università Lateranense sulla “diplomazia, come arte di mettersi in relazione con l’altro”.
Perché la diplomazia come arte e non come scienza?
perché non basta il ragionare, l’elaborazione, il dialogo, servono altri parametri che scolpiscono gli atti, che dipingono l’incontro di volontà fino a quel momento diverse o indifferenti, che recitino una parte condivisa e non più spartiti separati o addirittura opposti prima di quel momento.
Ecco perché i “cuori” si incontrano in un vocare-pro, un provocare qualcosa di nuovo di buono dunque di bello, perché bello e buono formano un accordo sinfonico, rendendo la diplomazia un’arte nobile, meritoria, sempre utile e necessaria per la pace condivisa.
Quindi una diplomazia ancora in voga?
Sì, vedo la diplomazia come una pro-vocazione, una opportunità per un noi collettivo perché mette in relazione soggetti sovrani che poi dovranno attuare il nuovo cammino sinodale concordato proprio in sede diplomatica.
Come commenta il libro di Don Enzo?
Don Enzo presenta la storia di Giuseppe e i suoi fratelli in maniera sinottica con la formazione e l’attività di un diplomatico, Giuseppe si evolve in diplomatico con le vicende della sua vita. Giuseppe figlio di Giacobbe in una storia sintetizzabile così: dalla cenere alla gloria, come dalla quaresima alla Pasqua-Resurrezione. L’Autore riferisce una frase di Karl Marx: “se nella vita non percepisci di esser amato e se non fai della vita l’oggetto del tuo amore, tu diventerai uno sventurato” (p.44). Ecco questa è riferibile al primo Giuseppe versione e dopo ai dieci suoi fratelli, in un percorso redentivo, di conversione, di recupero del dialogo e di amore verso l’altro perchè nessuno sa amare senza aver toccato con mano l’amore e l’amore si tocca se sentiamo che esiste chi ci ama.
Quindi la diplomazia come relazione?
Si, diplomazia come arte di mettersi in relazione con o con-tro l’altro: con la discussione o il dialogo, provocando guerre o pace; per ribadire la mia identità inclino alla guerra, per crescere come umanità, guardiamo insieme nella stessa direzione di pace. E in questo il diplomatico è come uno stent nell’arteria: libera la circolazione della comunicazione proficua consentendo al cuore della relazione di tornare a battere con regolarità per un flusso di vita piena. Se si distrugge il dialogo l’accordo sparisce, il pianoforte è scordato scrive don Enzo, l’accordatura del cuore forma la concordia delle note aggiungo io.
Come vede la situazione attuale così critica?
Vedo molta indifferenza di tanti: la scesa in piazza è di pochi con valori e di molti per risentimento, per altri solo opportunismo o demagogia dell’essere visibile. Alcuni fanno la collezione di firme di sensibilizzazione e così si sentono assolti nel loro dovere civico. L’indifferenza per me si articola in due modi, secondo che il paese sia democratico o totalitario, in entrambi la depressione-disaffezione è morale: nel primo si esplica nell’assenteismo politico perchè io non conto, ma sono solo contato, anche se non vado a votare, sono uno pseudo-cittadino, un suddito underground. Nel secondo modello, quello autoritario, meglio non essere indagati, non impicciarsi, anche con votazioni farsa: io non conto sono esplicitamente un suddito.
E secondo lei Professore, perché?
Perché ? Perché tanti, forse molti, certo troppi, governanti NON sono un esempio morale: quelli democratici hanno poco tempo di avere-tenere-godere del potere, non pensano al futuro ma al loro immediato presente, il breve termine, con una p di politica minuscola e assai diffusa, non vogliono essere lungi-miranti, e i cittadini vedono e imitano. L’altro, il dittatore, il tiranno, il finto presidente ha tempi più lunghi, pensa al suo lungo termine e magari elargisce pane e circo e plateali demagogiche parate, campionati, musiche, e quant’altro purché abbia il si o il si-lenzio continuo per ogni suo desiderio civile e militare che sia.
La domanda sembra scontata : cosa propone ?
Di seguire lo sci e il tennis: vede come sono contagiosi nel bene con le vittorie e i sacrifici che sono dietro alle vittorie dei nostri campioni ? Vede quanti più giovani e anche meno giovani hanno presso la racchetta e indossato gli sci ? Anche il bene è contagioso. Se i governanti cambiano (loro come persone o loro come comportamento) i cittadini si educano per imitazione del bene seguono un esempio di correttezza, trasparenza, rispetto del progetto e parola promessa e data. Non un patto cittadini istituzioni ma un “fate come noi” una gestione che tende a osservare quanto progettato mostrando i passaggi e le realizzazioni. Essere come diceva il vescovo Tonino Bello glolocali, ovvero con una visione globale ma agendo localmente, nel mio mondo, quindi anche per i politici, nel loro mondo con onestà e in buona fede reciproca. Anche nel mondo ecclesiale il Santo Padre dovrebbe proporre che in ogni ufficio di ogni tipo di autorità ecclesiastica dovrebbe avere -non dietro la scrivania ma nella parete dirimpetto- l’immagine bella grande della lavanda dei piedi per ricordare ogni giorno che l’autorità è un servizio e non un potere, chi comanda in realtà deve servire. E ciò che fa testimonia quale dei due verbi ha scelto per mostrare a sé e ai fedeli chi è.
Si può iniziare anche senza attendere il mondo istituzionale e politico a fare qualcosa?
Certamente, abbiamo i mezzi mediatici e i movimenti: trasmettere le buone notizie ovvero l’agire come comportarsi bene, non nel manifestare, ma nel fare. Non scendere in piazza contro l’inquinamento ma mostrare quante tonnellate al giorno la mia città differenzia della raccolta dei rifiuti, quanti incidenti (sul posto di lavoro, in casa, stradali, per categorie) in meno avvengono nella mia regione. Ci sono mille notizie virtuose da pubblicizzare quotidianamente e non occasionalmente per aumentarne l’emulazione (al contrario del continuo pubblicizzare il vandalismo artistico o omicidi di ogni tipo che aumentano il gossip-noir perfino il turismo pernicioso). I media possono essere volano di bene. Ma ci devono credere per primi i direttori e a pioggia ogni redattore e giornalista. Così si può cambiare il mondo o le persone che governano o le cose da governare: educarsi insieme per cambiare il modo di governare o le persone che devono governare. È uguale.
Don Enzo parla anche di comunione e fratellanza
Quella parte del libro è lirica: esorta con un non litigate durante il viaggio della vita, lasciate che divenga un luogo di cum-unione perchè quel tempo produca la più bella delle ricchezze, unità, cum-unio, comunio, che dona integrità. La maionese… se non si amalgamano gli ingredienti…impazzisce e porta alla guerra (p.97). La comunione deve crescere nella Chiesa cioè tra i movimenti, tra le parrocchie, le diocesi, la Chiesa tutta. Prepara all’uscita ma prima coesi, ut unum sint. Non si fa chiesa in uscita con il portabagagli aperto o le portiere o peggio il cofano non chiuso: le conseguenze le tiri lei…
La Fratellanza mi fa pensare a Caino e Abele, Seth e Osiride, Romolo e Remo, Amaterasu e Susanowo, Tecciztecatl e Nanahuatl. Tutti con l’eliminazione del fratello per affermare una identità; è il contrario della fratellanza che dà origine all’identità di un popolo: ma Don Enzo e noi non vogliamo popoli identitari per la supremazia sugli altri ma una unica umanità nelle sue differenze culturali che impreziosiscono le conoscenze e la crescita reciproca, senza appiattimenti e omologazioni.
La fratellanza è un principio su cui papa Francesco crede molto perchè parte dalla comunione, che è intraecclesiale, e poi esce, è con altri, oltre la nostra comunione, e, badi bene, benché diversi. Il regno di Dio, quello che dico traducibile in “il progetto delle beatitudini” va oltre la comunio ecclesiale, e entra in dialogo con altre religioni ma anche con il mondo civile. Una realtà ecclesiale quindi incarnata nella storia del suo territorio, nello spazio e dunque nella storia progettando con quello che lì c’è, progettando insieme facendo sistema con idee e mezzi e risorse che lì ci sono e che magari i miei mezzi, lì , non funzionerebbero. E’ la diplomazia dei piccoli passi che Giuseppe ha attuato con i suoi fratelli nel momento del bisogno, lì della carestia, oggi nelle incomprensioni internazionali dovute a irrigidimenti ideologici e a visioni di piccoli politici (ego-ismi short-time) non di grandi Politici (lungi-miranti visione del mondo).
Una diplomazia in affanno dunque?
Don Enzo dice che la via diplomatica è lastricata di prove al limite della sopportazione e mette come ingredienti la prudenza, quale attenta valutazione delle circostanze, la reciproca fiducia, l’empatia, l’umiltà, il tatto, le aperture, la disponibilità e il pesare il contesto. L’arte del fregare con scaltrezza e furbizia l’interlocutore non funziona a lungo perchè si viene a sapere e si etichetta quale paese o governo inaffidabile. Spesso in diplomazia si parte dall’essere in una cisterna a pareti che sembrano lisce: da un rifiuto dovuto a invidie presunzioni pregiudizi muri alzati e orecchie chiuse. A volte la diplomazia arretra in circostanze straordinarie: opporsi sarebbe controproducente, per costruire un ponte bisogna essere in due. Scrive Don Enzo saggiamente, vince chi non si muove o insieme un eccomi vicendevole per un incontro esperienza di vita comune? Realisticamente a volte bisogna salvare il salvabile prioritariamente la dignità e l’onorabilità: Giovanni Paolo II attenzionò spesso quei sistemi sociali talmente inquinati da rendere quasi impossibile arginarne la degenerazione.
E allora cosa fare?
Il mezzo è crescere insieme, ognuno ha sempre qualcosa che è buono e utile per l’altro, anche tenendo presenti i disequilibri contingenti del singolo e dei suoi superiori o delle sue vicende di corollario. In che modo ? Con la Sostenibilità per evitare di creare situazioni di dipendenza da me: insegno a pescare non elargisco beneficenza o rifornisco di pesci, si tratta di effettuare una pianificazione con gli strumenti possibili con l’altro e non per l’altro. Per realizzare i sogni bisogna svegliarsi! Sta nel libro anche questa stupenda riflessione.
Mi sembra che consigli caldamente la lettura del libro?
Si, prenda per esempio quando Don Enzo parla dell’Obbedire che non è eseguire un comando ma prendersi a cuore ciò che si deve fare così come il saper Governare come sinonimo di saper guardare, osservare e capire la differenza tra cosa si vuol vedere e si crede di vedere e cosa si riesce a vedere tra cosa si vuol fare e cosa invece si riesce a fare. Ogni parola apre un mondo di riflessioni. È un libro da meditazione-degustazione, come i vini nobili, non sono cento pagine usa e getta.
Quando riprende il confronto con la diplomazia fatta di pesi e contrappesi la rappresenta come bilanciamento della giusta tensione tra valori, come tiranti per il punto di equilibrio del ponte: la mente va a dimorare nel cuore per il cum-sentire delle parti. Saper capire la domanda fondamentale e non offendere la persona pur dicendo la verità è compito del diplomatico che deve accorgersi anche quando ciò che vede forse nasconde dell’altro. Il diplomatico usa la maieutica: sa estrarre il meglio, sa allevare è un estrattore della buona sostanza.
Quale qualità deve avere un diplomatico?
Deve aver la buona fede: l’intelligenza senza la buona fede e la carità non basta. La carità (azione sinodale e non opaca con l’altra parte) tiene i mattoni della realtà come calce perché costruiscano l’identità di una abitazione comune o di un ponte relazionale. In diplomazia io vivo con, e dopo, per l’altro, con fiducia reciproca, altrimenti ricadiamo nel fondamentalismo segno di disperazione della ragione e sconfitta delle fede (come più volte dice il cardinal Parolin). Spes contra spem spera contro ogni speranza in questo la Bibbia è rivelazione-speranza di Dio all’uomo è l’arcobaleno della Sua promessa di salvezza.
Il mio pensiero di sintesi è il seguente: Ripercorrere il passato con la memoria, far riemergere nell’oggi le emozioni per farle rivivere dando così il coraggio al domani rimboccandosi le maniche della mente e delle braccia.
In conclusione, dunque abbiamo qualche speranza?
Sperare vuol dire affidarsi, aver fiducia, credere nonostante i rischi, tutti i soggetti della Bibbia vivono nella speranza. Per Aristotile la speranza è un sogno fatto da svegli; è voglia di attendere qualcosa di nuovo perché crediamo che esista qualcosa di nuovo. Più spesso però per vedere il nuovo bisogna muoversi, andare, la terra promessa, il paradiso perduto, la nuova vita. Una pagina che resta scolpita in me e che mostra quanto sono importanti i piedi per terra è quel che Agostino ci dà forza con La speranza che ha 2 bellissimi figli : lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose. Il coraggio per cambiarle .
Grazie