La gestione dell'emergenza dovuta al contagio da Covid-19 in Lombardia ha mostrato evidenti lacune. Lacune che hanno fatto sì che la Lombardia, soprattutto per quanto riguarda alcune province, divenisse il focolaio principale dell'epidemia da coronavirus in Italia, sia per numero di contagi che per numero di decessi. In entrambi i casi, a parere di tutti, i dati sarebbero da considerarsi di gran lunga sottostimati. 

I vertici politici della regione, che fanno capo alla Lega, per prevenire il "redde rationem" che sicuramente seguirà una volta che la situazione sarà tornata anche ad una pur vaga normalità, hanno già iniziato, da una parte, ad attuare la tattica dello "scaricabarile", dall'altra a mostrare un iper attivismo nell'applicazione di direttive contenenti divieti e imposizioni, cercando così di apparire agli occhi dei loro amministrati più attenti e più reattivi nella gestione della crisi rispetto al Governo centrale. 


La provincia di Bergamo è stata quella che ha registrato la più alta diffusione del contagio. Da alcuni giorni i media stanno cercando di capire come siano stati gestiti i primi contagiati in Val Seriana e quali siano state le misure prese per arginare il contagio. Ecco che, a sua difesa, la regione dice di aver chiesto a Conte la zona rossa per Nembro e Alzano il 3 marzo. Peccato, però, che gli ospedali della zona avessero iniziato ad avere le prime evidenze del contagio già a metà febbraio, senza però che si intervenisse fin da subito su quello che poteva essere già o diventare un focolaio epidemico importante, alla stessa maniera in cui si era poi intervenuti nel lodigiano. Perché si è atteso tanto? Perché avrebbe voluto dire chiudere l'intera provincia di Bergamo con annesse tutte le aziende che vi operano, aziende che, quando hanno capito la piega che stava prendendo la vicenda, hanno fatto pressioni sulle istituzioni (locali e nazionali) per evitare zone rosse e chiusure di qualsiasi genere. 

In futuro, stabilire le responsabilità di quanto è accaduto a Bergamo costituirà il primo dei molti aspetti da chiarire nella gestione dell'emergenza Covid.


Come già accennato, la regione Lombardia, per prevenire accuse e critiche sta mettendo le mani avanti e sta cercando di farsi vedere attivissima e previdente nella gestione delle problematiche legate al contagio. Ecco così che la scorsa settimana ha pubblicato un'ordinanza che impone l'uso obbligatorio delle mascherine.

Domenica 5 aprile, Fontana dichiarava che la "Protezione Civile Lombardia" (non la Protezione Civile) stava distribuendo nel territorio 3 milioni di mascherine, che a partire da lunedì sarebbero state gratuite e accessibili ai punti di distribuzione.

Lunedì mattina molti lombardi si sono recati nei punti di distribuzione e, dopo aver fatto la fila, che cosa hanno trovato? Nulla. I più fortunati hanno potuto leggere fuori da alcune farmacie cartelli in cui si leggeva che la distribuzione gratuita delle mascherine fornite dalla Regione Lombardia non era ancora disponibile... per mancanza delle mascherine!

Dopo aver creato il problema, allora è arrivata la "precisazione" della regione Lombardia che ha poi dichiarato che le prime 300mila mascherine, quelle già presenti nei magazzini regionali, arriveranno tra mercoledì e venerdì. Queste mascherine, secondo quanto annunciato, dovrebbero essere destinate alle fasce di popolazione più fragili, ma non sono ancora chiari quali saranno i criteri di distribuzione. 

In compenso, nella giornata di lunedì, il presidente Attilio Fontana pubblicava questo post su Facebook:


Un paio di ore dopo il video del presidente della regione Lombardia veniva ripreso e diffuso nuovamente dal segretario del suo partito (Lega), Matteo Salvini, che dichiarava: 

"Regione Lombardia, su iniziativa del presidente Fontana, sta consegnando 3 MILIONI di mascherine che i Comuni e le associazioni di volontariato metteranno a disposizione GRATUITAMENTE dei cittadini.Da metà settimana saranno disponibili anche nelle farmacie per le persone più fragili. Avanti così!P.s. Le mascherine verranno continuamente prodotte e garantiti successivi rifornimenti, ovviamente."

Da "metà settimana", ovviamente.


Ma c'è un'altra questione molto seria che riguarda la Lega ed è stata sollevata dal quotidiano Repubblica: riguarda gli anziani deceduti al Pio Albergo Trivulzio (Pat).

Chi è a capo del Pat? Maurizio Carrara è il presidente, nominato nel 2015 dall'allora sindaco di Milano, Giuliano Pisapia. Ma la carica di presidente, che spetta al Comune, è solo di rappresentanza. La carica operativa è quella di direttore generale, che spetta alla regione. In quel ruolo, nel 2018, la regione a guida leghista nomina Giuseppe Calicchio, legato "all'assessore regionale alle Politiche sociali, Stefano Bolognini, cerchia ristretta di Salvini, al cui fianco Bolognini si trovava anche l'estate scorsa al Papeete di Milano Marittima".

In base a quanto ricostruito da Repubblica, il professor Luigi Bergamaschini, che lavorava da cinque anni al Trivulzio grazie a un protocollo di collaborazione con l'Università Statale, ha detto che
«a fine febbraio, quando si ha notizia dell'arrivo dell'epidemia, ci poniamo il problema di utilizzare le mascherine chirurgiche. Ci rispondono che non ce ne sono. Chi riesce se le procura, tanto più che il 28 febbraio il mio reparto viene blindato. E io ovviamente, ignorando i rimproveri — "mica sei tu il direttore sanitario" — ne autorizzo l'impiego».

Questo è quanto accade in seguito, in base a quanto riporta Repubblica: "Si arriva così alla mattina del 3 marzo, quando ormai è scattata l'emergenza in tutta Italia. Prosegue il racconto di Bergamaschini:
«Vengo convocato e mi comunicano che il direttore generale Calicchio è montato su tutte le furie perché faccio indossare le mascherine. Replico: ma io mi limito a non impedire di adoperarle... A questo punto la dottoressa Rossella Velleca mi notifica che da domani dovrò restare a casa, anche a tutela della mia salute visto che ho 70 anni. Ma è una scusa che non regge, vista la mail inequivocabile che mi arriva: “Stante la Sua gestione, Lei è esonerato dall'attività generale»".

E nel frattempo? Al Pat iniziano i primi contagi a partire dalla struttura di Merate. A fine mese sono settanta i morti solo nella struttura di via Trivulzio. Poi ci sono le altre due sedi, una a Merate, l'altra in centro a Milano. 

"Nei bollettini ufficiali si sosteneva che solo in nove decessi fosse riscontrabile il Covid-19 come concausa. Una cifra palesemente inferiore al vero. Intanto un fisioterapista è finito intubato in rianimazione, un medico risulta positivo con polmonite e altri due operatori sono infettati. Ma, in assenza di tamponi, è impossibile stabilire quanti siano davvero i portatori di coronavirus".

A questo punto, il 25 marzo il professor Bergamaschini rientra in servizio, ma solo dopo che la Statale aveva minacciato di tutelarlo con un'azione legale.

Repubblica riporta anche la dichiarazione di un sindacalista che lavora al Pat: «Gli anziani morivano e a noi, nonostante l'evidenza dei sintomi, dicevano che si trattava solo di bronchiti e polmoniti stagionali. Il risultato è che ora al Trivulzio abbiamo sette reparti isolati completamente e due vuoti perché non accettiamo più nuovi pazienti. Nella struttura di Merate novanta sono sotto osservazione. Al Principessa Jolanda di via Sassi due reparti sono in isolamento.Quando l'epidemia non si poteva più nascondere, ci è arrivato l'ordine di non trasferire più i pazienti nel pronto soccorso dove di solito ricevono le cure necessari, il che di fatto significa: lasciateli morire nei loro letti. Niente tamponi, ci mandano allo sbaraglio».

I morti al Trivulzio che ospita milletrecento anziani - il polo geriatrico più importante d'Italia - sono decine. 

Ma il problema dei decessi con Covid nelle Ras (Residenze sanitarie assistenziali) della Lombardia è un problema diffuso: sono centinaia nella regione i casi accertati.

Uno dei motivi è il fatto che quelle strutture sono state usate dalla regione per ospitare i ricoverati da coronavirus dimessi dagli ospedali, perché ormai asintomatici, ma ancora positivi al test e per questo impossibilitati a tornare nelle proprie abitazioni per non contagiare i familiari.


Stavolta, il presidente Fontana non ha ancora trovato il modo di incolpare altri di quanto avvenuto al Pio Albergo Trivulzio e nelle Ras della sua regione. Nel frattempo, almeno per capire quanto è accaduto e sta accadendo al Pat, il ministero della Salute ha inviato degli ispettori, mentre la Procura di Milano ha avviato un'inchiesta, al momento, a carico di ignoti.