Quante monete da 10 centesimi occorrono per arrivare a 50?
La maggioranza di voi ha risposto che ci vogliono 5 monete. E’ logico, perché 5 per 10 fa proprio 50. Invece no, non è logico. Non siete critici. La domanda va criticata!
L’informazione onesta dovrebbe avere sempre la “I” maiuscola, ma è noto che ve ne sia anche buona parte alquanto disonesta e con una decisa “i” minuscola. Questa componente è già grave; ancor più se rappresenta la quasi totalità dell’informazione.
Non sarebbe di alcun interesse parlarne se fossimo tutti vaccinati da una sana esperienza di vita (vita maiuscola, ovviamente) che permetta d’intercettare gli episodi d’informazione minuscola. Con semplice esperienza di vissuto comune, non basata però su luoghi comuni e dicerie, né giudizi spiccioli, credulonerie e sentito dire, o qualsiasi altra cosa che “piaccia sentire” ma non sia tuttavia “fatto oggettivo” e verificabile.
Quindi parliamo di esperienze oggettive. Non serve avere un gran cultura, ma essere comunque in grado di distinguere tra l’oggettivo e il soggettivo. Altrimenti non c’è solo difetto d’esperienza ma anche di cultura elementare, e si versa in uno stato di analfabetismo critico. Non esiste nulla di più temibile di un livello critico di analfabetsimo, ed è proprio a questo livello che matura e prospera l’informazione minuscola: può fare qualunque cosa, dire di tutto, e rendersi credibile nella più assoluta falsità.
Se non siamo proprio a livello di tale analfabetismo critico, allora esiste una chance per identificare e sventare l’informazione minuscola. La verità non può essere intrappolata per sempre in quel pozzo: emergerebbe furiosa come nel particolare di un significativo dipinto di Jean-Léon Gérôme - che accompagna quest’articolo - per punire severamente chiunque l’abbia trascurata e costretta in quel pozzo. Una metafora che evoca tutta la rabbia e la disperazione di chi viene seppellito da menzogne e manipolazioni dell’informazione minuscola. Ne saremmo pienamente responsabili, colpevoli, e meritevoli di quella punizione, se non facessimo di tutto per usare le nostre chance di disinnescare l’informazione minuscola e liberare la verità.
Partiamo dall’informazione televisiva, annettendovi anche i canali più popolari e seguiti nel distretto video/social di Internet.
Qui c’è la più ampia platea di fruitori d’informazione, nonché la fetta più considerevole di popolazione: da quelli che la subiscono, cadenziando intercalari come “l’ha detto la televisione” oppure “c’è scritto su internet”; a quelli che ne hanno esigenza logistica, e nel poco tempo disponibile fanno frettolosa incetta di TG, talk, speaker, vip, sociali e opinionisti in genere. Questo bel po’ di gente non dovrebbe far altro che tenere sempre accesa la spia del dubbio, in maniera da ricordarsi di effettuare una costante “critica all’autorevolezza” sull’informazione ricevuta.
Sembra una chiave ragionevole.
Per critica all’autorevolezza va inteso un sistema che metta in evidenza almeno due cose: la parte forte e quella debole rispetto a chi produce l’informazione. Va fatto prestando semplice attenzione all’impianto di comunicazione che vi sta dietro, attraverso il quale l’informazione spiega le ragioni delle due parti - forte e debole - risultando autorevole, e quindi genuina e onesta, solo se capace di mettere in equilibrio le due parti. Diversamente risulterà autoritaria, sbilanciando ulteriormente le parti attraverso un impianto di comunicazione manipolatoria che manterrà la verità intrappolata nel pozzo.
Nell’informazione, la parte forte va sempre identificata nel soggetto che suscita maggiore considerazione o empatia, ovvero che possiede una più ampia visibilità e voce in capitolo. Per esempio, in un fatto di cronaca nera il soggetto forte è la vittima, mentre quello debole sarà chiaramente il presunto aggressore. Questo risulta facile da capire, in quanto è logico che tutti empatizzino più facilmente con la vittima, partendo con evidente pregiudizio nei confronti del presunto aggressore. Ed è importante anzitutto far rilevare che sia un "presunto" aggressore, non già tale.
Per comprendere meglio questo paradigma dell'informazione si può trarre un'analogia con il procedimento penale. In quella sede l'imputato - presunto aggressore - avrà sempre l'ultima parola, e potrà ad esempio interrogare i testimoni dopo l’esame della pubblica accusa e della parte offesa (vittima), anche con diritto di ulteriore replica ad ogni precisazione o riesame. All'imputato è concesso perfino di mentire; ed egli sarà anche l'ultimo ad arringare esponendo le proprie ragioni e difese.
In altri ambiti dell'informazione, come i confronti politici e i relativi spazi concessi, spesso avviene l'esatto contrario. L'informazione minuscola tende a creare un impianto comunicazionale per favorire i soggetti ritenuti "amici", non importa se per opportunità o identità ideologica. Ad un soggetto politico già forte, potrebbe ad esempio essere dedicato più spazio e quindi rischiare che le ragioni rappresentate dal soggetto più debole, magari latore di interessi minoritari, vengano svilite nella loro legittimità e importanza. Siano minoranze, sia la parte che perde le elezioni, va notato che l'informazione minuscola sale sempre sul carro del vincitore. L'eccezione si presenta solo nei casi in cui il vincitore non coincide con l'interesse ancora più forte del potere economico in genere. L'informazione minuscola è sempre saldamente ancorata a quest'ultimo.
Queste considerazioni prendetele pure come mere ipotesi o esempi, non essendoci qui lo scopo di determinare le ragioni che spingono l’informazione verso tali condotte, ma prenderne atto e identificare soluzioni.
La critica all'autorevolezza, per come appena ragionato, è la soluzione che può disinnescare questa infausta e molesta tendenza, tenendo a mente la necessità di verificare sempre l'impianto comunicazionale e stabilire se sia efficace e onesto nell’equilibrare le posizioni. Per fare un ultimo esempio consideriamo un'ipotetica scaletta da talk politico, dove il conduttore inizia intervistando su temi delicati un soggetto politico debole. Dopo aver ottenuto risposte precise, esaustive e verificabili, il conduttore congeda il soggetto e passa ad altri temi; ma nel corso della trasmissione verrà nuovamente ripreso il tema iniziale ponendo domande simili a un soggetto politico più forte, in assenza del primo già congedato. Verrà allora contrastato l’intervento del collega debole semplicemente negando e adducendo spiegazioni irrazionali e non verificabili (arte retorica e demagogia), nel silenzio del conduttore che eviterà di ricordare dati ed elementi razionali posti poco prima dal soggetto politico debole.
E’ stato fatto uno degli esempi più eclatanti e all’ordine del giorno, ma ne esistono naturalmente di molto più insidiosi e sottili.
La critica all’utorevolezza non può comunque nascere se chi riceve l’informazione già “tifava” per una determinata posizione. Il tifo prescinde dalle idee, le quali possono avere una tendenza ma non rendersi cieche all’evidenza. In buona sostanza è come se il più forte giocatore di una squadra s’infortunasse, e i tifosi della squadra avversaria gioissero oltremodo per la loro facile vittoria. Già non è sportivo in un contesto agonistico, ancor meno dovrebbe negli eventi della vita quotidiana, o nei temi sociali e politici.
E’ una critica che deve anche nascere da una profonda innocenza. Bisogna spogliarsi dai pregiudizi e usare il candore del bambino che chiede «Perché?». E lo fa anche dopo aver ricevuto tutte le informazioni necessarie, insistendo: «Ok, la terra gira attorno al sole. Ma perché è così?». A quel punto dovrà arrendersi anche il saggio più erudito, perché nemmeno lui conosce la risposta. E’ il “Ti esti?” socratico, che nei suoi dialoghi metteva in crisi la retorica di chi si riteneva sapiente e certo del proprio scibile.
Ora torniamo al nostro problema d’apertura sulle monete.
Non vi siete accorti che la domanda è incompleta: informata in maniera tale da sublimare nella vostra mente i termini mancanti, sicché risolviate con un intuito manipolato. Nella domanda non ho infatti specificato la valuta, né se volessi conoscere il taglio finale, sempre in valuta, piuttosto che la quantità numerica delle monete. Quindi, può essere vero che servissero 5 monete da 10 centesimi per arrivare a 50, ma solo se avessi voluto conoscere il risultato in centesimi; se avessi voluto conoscere la quantità, allora per arrivare a 50 monete servivano proprio 50 monete! E se invece avessi inteso una conversione di valuta? Insomma: per arrivare a 50 di cosa?
E’ pura speculazione. Un problema più linguistico che matematico, artatamente concepito per indurre a intuire (sottintendere) informazioni che non ho voluto dare. Ed è chiaramente un sottintendere che non deriva da alcuna regola linguistica, ma al più da un contesto netto anch’esso mancante (eg: non vi ho fatto vedere le monete).
Non è solo la malafede a governare l'informazione minuscola, poiché vi sono numerosi casi di semplice incapacità professionale. Una condizione che fa comunque gioco alla generale volontà di manipolazione di chi governa l’informazione (proprietà/editore), e non c'è niente di meglio se ciò avviene in maniera spontanea, per incapacità del sottoposto che la produce.
L'informazione maiuscola, d’altro canto, possiede anche la virtù della temperanza, con quell'impianto che ho provato a costruire sulla cronaca dello scorso articolo. Non giusto per parlarne ancora, ma per osservare come tutte le complessità si riducono, infine, a pochi concetti etici primitivi, che non richiedono alcuna fatica intellettuale. È tutto abbastanza intuitivo, a patto solo di fidarsi delle intuizioni forgiate nel DNA umano, e non da quelle acquisite per surroga dai memi contemporanei: «E’ così perché si sa!».
Base foto: un particolare del dipinto “La verità che esce dal pozzo”, di Jean-Léon Gérôme (1896, olio su tela), presso Museo Anne-de-Beaujeau, Moulins (FR)