Nel cuore della storica Napoli, un’“opera” dell'artista Gaetano Pesce, eretta con l’intento di richiamare la figura di Pulcinella, ha acceso furiose polemiche e scatenato un’ondata di indignazione. Invece di celebrare la tradizione e il folklore della maschera napoletana, l’installazione è percepita da molti come un chiaro simbolo fallico, generando un acceso dibattito pubblico che ha toccato profondamente la sensibilità, soprattutto quella delle donne.

L’ubicazione dell’opera, situata proprio di fronte al Maschio Angioino, uno dei simboli storici della potenza e del dominio maschile, accentua ulteriormente il richiamo a un immaginario maschilista, suscitando perplessità e rabbia tra i cittadini. Il contesto urbano e culturale in cui l’opera si inserisce rende la provocazione ancora più inaccettabile. Napoli è una città complessa, ricca di storia, cultura e simbolismo, e il personaggio di Pulcinella rappresenta da secoli l’incarnazione del popolo, della sua astuzia, delle sue debolezze e della sua resistenza. Ma il collegamento tra questa figura e l’opera di Pesce è a dir poco forzato. Invece di valorizzare la ricchezza simbolica di Pulcinella, l’artista ha scelto di reinterpretarlo attraverso una lente distorta che esalta la virilità maschile come unico tratto identificativo. Pulcinella, che nella sua essenza rappresenta l’umanità intera con le sue contraddizioni, viene qui ridotto a un’icona di potere fallico, cancellando ogni altra sfumatura di significato.

Il titolo, 𝑇𝑢 𝑠𝑖 𝑛𝑎 𝑐𝑜𝑠𝑎 𝑔𝑟𝑎𝑛𝑑𝑒 𝑝𝑒 𝑚𝑒, che riprende il famoso brano della canzone napoletana, richiama ironicamente un’idea di grandezza che, in questo contesto, appare profondamente allusiva e offensiva. Le parole, che dovrebbero evocare amore e ammirazione, si trasformano qui in un messaggio che sottintende il dominio sessuale e la celebrazione di una mascolinità arrogante e primitiva. Il gioco di parole, ben lontano dall’innocente affetto del testo musicale originale, diventa lo strumento per esaltare una dimensione fallica che non lascia spazio ad ambiguità interpretative.

L'opera, nelle intenzioni dell'artista, doveva essere una rivisitazione moderna del personaggio di Pulcinella, una figura che nel corso dei secoli ha rappresentato l’anima irriverente, satirica e popolare di Napoli. Tuttavia, il risultato è stato diametralmente opposto. L'installazione è stata percepita come una provocazione fine a se stessa, priva di un autentico intento artistico o di riflessione sociale. Piuttosto che aprire un dialogo costruttivo, come spesso è l’obiettivo dell'arte contemporanea, l'opera ha scatenato una reazione unanime di rifiuto, sollevando interrogativi sulla reale funzione che dovrebbe avere l'arte pubblica.

Il problema non è solo formale o estetico, ma si radica profondamente in una questione di sensibilità culturale e di genere. Le critiche più forti arrivano infatti dalle donne, per le quali l'opera rappresenta un’ennesima 𝐦𝐚𝐧𝐢𝐟𝐞𝐬𝐭𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐦𝐚𝐬𝐜𝐡𝐢𝐥𝐢𝐬𝐦𝐨 che ancora permea ampi strati della società italiana, soprattutto in alcune aree del Paese dove certe mentalità arcaiche sembrano sopravvivere in modo più tenace. Il 𝐬𝐢𝐦𝐛𝐨𝐥𝐨 𝐟𝐚𝐥𝐥𝐢𝐜𝐨 𝐞𝐬𝐢𝐛𝐢𝐭𝐨 𝐢𝐧 𝐮𝐧𝐚 𝐩𝐢𝐚𝐳𝐳𝐚 𝐩𝐮𝐛𝐛𝐥𝐢𝐜𝐚 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐧𝐭𝐚 𝐮𝐧 𝐜𝐡𝐢𝐚𝐫𝐨 𝐦𝐞𝐬𝐬𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨 𝐝𝐢 𝐩𝐨𝐭𝐞𝐫𝐞 𝐞 𝐝𝐨𝐦𝐢𝐧𝐢𝐨, andando a richiamare 𝐚𝐫𝐜𝐡𝐞𝐭𝐢𝐩𝐢 𝐩𝐚𝐭𝐫𝐢𝐚𝐫𝐜𝐚𝐥𝐢 che, in una società moderna e progressista, dovrebbero essere superati. Molti si chiedono se un’opera del genere possa davvero avere un valore artistico, o se si tratti piuttosto di una 𝐩𝐫𝐨𝐯𝐨𝐜𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐬𝐭𝐞𝐫𝐢𝐥𝐞, che non riesce a comunicare altro se non una 𝐯𝐢𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐫𝐢𝐬𝐭𝐫𝐞𝐭𝐭𝐚 𝐞 𝐫𝐞𝐠𝐫𝐞𝐬𝐬𝐢𝐯𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐟𝐢𝐠𝐮𝐫𝐚 𝐦𝐚𝐬𝐜𝐡𝐢𝐥𝐞. L'arte, quando sfida i tabù o affronta temi complessi, ha la capacità di stimolare riflessioni profonde e di aprire nuove prospettive. Ma in questo caso, l’effetto è stato tutt’altro: 𝐥𝐚 𝐩𝐫𝐨𝐯𝐨𝐜𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐡𝐚 𝐟𝐢𝐧𝐢𝐭𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐫𝐢𝐧𝐟𝐨𝐫𝐳𝐚𝐫𝐞 𝐬𝐭𝐞𝐫𝐞𝐨𝐭𝐢𝐩𝐢 𝐬𝐞𝐬𝐬𝐢𝐬𝐭𝐢 𝐩𝐢𝐮𝐭𝐭𝐨𝐬𝐭𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐦𝐚𝐧𝐭𝐞𝐥𝐥𝐚𝐫𝐥𝐢.

L’installazione di Pesce, lungi dal creare un ponte tra tradizione e contemporaneità, sembra scollegata sia dal contesto storico-artistico di Napoli sia dalle lotte sociali contemporanee per l’uguaglianza di genere. Non è un’opera che cerca di esplorare o sovvertire i ruoli di genere, ma piuttosto sembra riaffermare in maniera sfrontata un’idea di superiorità maschile. Il posizionamento dell'opera proprio di fronte al Maschio Angioino, un castello medievale simbolo di forza e potere, appare quasi come una sottolineatura dell’𝐢𝐧𝐯𝐢𝐧𝐜𝐢𝐛𝐢𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐞𝐥 𝐝𝐨𝐦𝐢𝐧𝐢𝐨 𝐦𝐚𝐬𝐜𝐡𝐢𝐥𝐞, quasi a voler ribadire una gerarchia che si sperava fosse stata messa in discussione.

È qui che emerge il punto più doloroso: 𝐢𝐥 𝐦𝐚𝐬𝐜𝐡𝐢𝐥𝐢𝐬𝐦𝐨 𝐧𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐬𝐨𝐥𝐨 𝐮𝐧 𝐫𝐞𝐬𝐢𝐝𝐮𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐩𝐚𝐬𝐬𝐚𝐭𝐨, ma è una realtà che, in certi contesti, continua a manifestarsi con forza. L’Italia, e in particolare il Sud, nonostante i passi avanti compiuti negli ultimi decenni, resta talvolta ancorata a visioni tradizionali dei ruoli di genere. Questa opera, lungi dal fungere da catalizzatore di cambiamento, sembra confermare che il potere maschile è ancora ben radicato, anche nei simboli culturali ed artistici.

Chi difende l'opera come un atto di libertà creativa rischia di non cogliere il problema più profondo: la libertà artistica non può prescindere dalla responsabilità sociale, soprattutto quando l'arte è esposta in spazi pubblici. 𝐔𝐧'𝐨𝐩𝐞𝐫𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐥𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐚 𝐝𝐢𝐯𝐢𝐬𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐞 𝐩𝐞𝐫𝐩𝐞𝐭𝐮𝐚 𝐦𝐞𝐬𝐬𝐚𝐠𝐠𝐢 𝐝𝐢 𝐞𝐬𝐜𝐥𝐮𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐞 𝐝𝐨𝐦𝐢𝐧𝐢𝐨 𝐧𝐨𝐧 𝐩𝐮𝐨̀ 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐠𝐢𝐮𝐬𝐭𝐢𝐟𝐢𝐜𝐚𝐭𝐚 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐬𝐞𝐦𝐩𝐥𝐢𝐜𝐞 𝐩𝐫𝐨𝐯𝐨𝐜𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞. 𝐋'𝐚𝐫𝐭𝐞 𝐝𝐞𝐯𝐞 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐫 𝐩𝐚𝐫𝐥𝐚𝐫𝐞 𝐚 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐢, 𝐫𝐨𝐦𝐩𝐞𝐫𝐞 𝐥𝐞 𝐜𝐚𝐭𝐞𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥’𝐨𝐩𝐩𝐫𝐞𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞, 𝐧𝐨𝐧 𝐫𝐢𝐧𝐟𝐨𝐫𝐳𝐚𝐫𝐥𝐞.

In definitiva, l’opera di Pesce non è riuscita nell'intento di proporre una riflessione sul personaggio di Pulcinella o di avviare un dialogo costruttivo sulla cultura napoletana. Al contrario, ha riaperto ferite antiche legate al maschilismo, che continua a sopravvivere in certe zone d’Italia e che, in questo caso, ha trovato un ulteriore spazio di espressione sotto le vesti dell’arte.