Quella che sembrava imminente è adesso un attacco che, per il momento, può attendere. Il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, James Mattis, ieri ha detto che gli Usa stanno ancora valutando le prove relative all'attacco a Douma della settimana scorsa. Devono verificare o meno l'effettivo uso di armi chimiche, anche se OMS e Francia, invece, hanno dichiarato, sempre ieri, di esserne certi.

Evidentemente, più che la certezza o meno dell'uso di armi chimiche - come se uccidere dei civili con delle "semplici" bombe fosse invece normale (!) - da parte di Assad, a frenare l'attacco in Siria, annunciato come imminente nei giorni scorsi da Trump, sono state le valutazioni delle possibili conseguenze.

E queste non avrebbero riguardato tanto un'immediata risposta della Russia, comunque da non escludere anche se sarebbe impossibile anticiparne obbiettivi e modalità, quanto quelle di un'escalation più che certa di un conflitto tra israeliani e iraniani, con i primi che aspettano l'occasione propizia per avere la giustificazione di spazzar via la presenza di Teheran nella Siria occidentale.

E a riprova del coinvolgimento dello Stato ebraico in un possibile attacco alla Siria è quanto accaduto ieri sopra Tel Aviv dove due F-15 israeliani si sono "esibiti" in un'esercitazione non annunciata, lanciando contromisure antimissile, che ha terrorizzato la popolazione.


L'incubo di Tel Aviv è quello di un Iran che dal nord dell'Iraq possa estendere il proprio raggio d'influenza fino al Mediterraneo. Un incubo, oltretutto, condiviso dai Paesi arabi a maggioranza sunnita, che vedono gli sciiti come un pericolo da eliminare.

E nel caso che Israele e Teheran finissero realmente per confrontarsi, allora la guerra in Siria potrebbe finire per diventare incontrollabile con conseguenze che nessuno potrebbe prevedere, soprattutto tra Stati Uniti e Russia. A questo si deve la nuova prudenza degli Usa... a meno che non sia semplice tattica. Con Trump, nulla è scontato.