Venerdì, Donald Trump è tornato all'attacco sul fronte dei dazi, annunciando due nuove minacce che hanno fatto tremare i mercati: una tariffa del 50% su tutti i prodotti provenienti dall'Unione Europea a partire dal 1 giugno e una del 25% su ogni iPhone fabbricato fuori dagli Stati Uniti. Le dichiarazioni, come di consueto, sono arrivate tramite il suo social network Truth Social e hanno immediatamente provocato un'ondata di vendite a Wall Street e nelle borse europee.

Lo S&P 500 ha ceduto lo 0,9%, il Nasdaq l'1,5% e l'indice europeo Stoxx 600 ha registrato un calo dell'1,1%. I mercati, che speravano in una stabilizzazione dopo settimane di parziale distensione, sono stati colti di sorpresa.

Dietro la nuova offensiva ci sarebbe il malcontento per lo stallo nei negoziati commerciali con Bruxelles... se non l'esigenza di far cassa mandando in negativo le contrattazioni in borsa quando nessuno lo avrebbe potuto prevedere (nulla è da escludere). Secondo il Segretario al Tesoro Scott Bessent, la tariffa del 50% "accenderà un fuoco sotto l'UE", spingendo i Paesi europei a sedersi al tavolo con maggiore determinazione. Ma le istituzioni europee, almeno ufficialmente, hanno scelto il silenzio. La Commissione UE ha dichiarato di voler attendere l'esito di una telefonata prevista tra il responsabile del commercio europeo Maros Sefcovic e il suo omologo statunitense Jamieson Greer.

Intanto, a Bruxelles, i rappresentanti dei 27 Stati membri dell'UE si sono riuniti per discutere della situazione. Il rischio di una nuova escalation non è più teorico: un dazio del 50% andrebbe a colpire settori chiave dell'export europeo, dalle automobili tedesche all'olio d'oliva italiano. Solo nel 2024, l'UE ha esportato verso gli USA merci per circa 500 miliardi di euro. Tra i prodotti più colpiti ci sarebbero farmaci, ricambi auto, chimica e aerospazio.

Le parole di Trump non hanno risparmiato nemmeno Apple. Il presidente ha ribadito la sua aspettativa che gli iPhone venduti negli USA vengano costruiti sul suolo nazionale. In caso contrario, ha minacciato, scatterà una tariffa del 25%. Le azioni di Apple sono crollate del 2,3% subito dopo l'annuncio. Tuttavia, l'effettiva possibilità di imporre tariffe su misura per singole aziende è tutta da verificare dal punto di vista legale. 

Per ora, la Casa Bianca ha sospeso la maggior parte dei dazi annunciati ad aprile, mantenendo solo una tariffa base del 10% sulla maggior parte delle importazioni e riducendo quella del 145% sui prodotti cinesi al 30%. Una mossa probabilmente pensata per contenere le turbolenze sui mercati.

Le reazioni del settore industriale non si sono fatte attendere. Le case automobilistiche tedesche – Porsche, BMW, Mercedes – hanno visto le loro azioni crollare tra il 2% e il 4,5%. Ancora peggio è andata a EssilorLuxottica, con un -5,5%. Volvo, tramite il suo CEO Hakan Samuelsson, ha avvertito che i clienti dovranno assorbire gli aumenti di costo e che per alcune auto potrebbe diventare impossibile l'importazione negli USA.

Sul fronte Apple, l'azienda sta già cercando di correre ai ripari, accelerando il trasferimento di parte della produzione in India con l'obiettivo di produrre entro il 2026 la maggior parte degli iPhone destinati agli USA fuori dalla Cina. Ma l'idea che possa realizzare tutto in patria entro pochi anni è, per ora, del tutto impossibile. 


Da segnalare altri due eventi di appena 24 ore fa che, a logica, possono essere collegati all'annuncio odierno. Il primo è relativo alla legge sui tagli fiscali approvata alla Camera, un provvedimento che finanzia il taglio delle tasse ai ricchi riducendo la spesa pubblica a supporto di chi ha bisogno di aiuti, a partire da quelli legati alla sanità:

"L'UNICA, GRANDE, BELLA LEGGE" è stata APPROVATA dalla Camera dei Rappresentanti!", ha scritto Trump sui social. "Questa è probabilmente la legge più significativa che sarà mai firmata nella storia del nostro Paese! La legge include ENORMI TAGLI FISCALI, nessuna tassa sulle mance, nessuna tassa sugli straordinari, detrazioni fiscali per l'acquisto di un veicolo di fabbricazione americana, insieme a forti misure di sicurezza alle frontiere, aumenti salariali per i nostri agenti dell'ICE e della Border Patrol, finanziamenti per il Golden Dome, "Conti Risparmio TRUMP" per i neonati e molto altro! Ottimo il lavoro del Presidente Mike Johnson e della leadership della Camera, e grazie a tutti i Repubblicani che hanno votato SÌ a questa storica legge! Ora è il momento che i nostri amici del Senato degli Stati Uniti si mettano al lavoro e mi trasmettano [pe rla firma, ndr] questa legge IL PRIMA POSSIBILE! Non c'è tempo da perdere. I Democratici hanno perso il controllo di sé e stanno vagando senza meta, senza mostrare fiducia, grinta o determinazione. Hanno dimenticato la loro schiacciante sconfitta alle elezioni presidenziali e sono ancorati al passato, sperando un giorno di ripristinare le frontiere aperte per permettere ai criminali di tutto il mondo di riversarsi nel nostro Paese, agli uomini di praticare sport femminili e alla transgenderità di tutti. Non si rendono conto che queste cose, e tante altre simili, NON accadranno MAI PIÙ!" 
Inutile rimarcare l'insostenibilità del piano dei tagli riproposto da Trump anche in questo suo secondo mandato. In ogni caso, glielo hanno spiegato gli investitori - sempre ieri - nell'asta dei titoli di Stato americani a 20 anni, il cui esito può definirsi disastroso.

La domanda è crollata, obbligando il Tesoro a offrire rendimenti più alti per attirare gli investitori: 5,047%, rispetto al 4,810% registrato nell'asta di aprile. Anche il rendimento del decennale USA — il punto di riferimento per l'intero mercato obbligazionario globale — è salito fino al 4,61% prima di rientrare sotto la soglia del 4,6%.

Tutto ciò è facilmente spiegabile con la crescente perdita di fiducia nei confronti della politica economica di Donald Trump. La sua gestione viene percepita come incoerente, improvvisata e potenzialmente pericolosa. Gli investitori non sono affatto convinti che il presidente stia facendo ciò che serve per rafforzare l'economia americana. Anzi, temono l'opposto.

Da un lato temono la politica dei dazi, imposti e poi parzialmente ritirati con una logica che sembra più dettata da umori personali che da strategie economiche; dall'altro, il massiccio piano di tagli fiscali completamente scoperto, chiamato con enfasi "One Big Beautiful Bill", descritto in precedenza. Uno slogan da campagna elettorale, non un piano credibile di riforma fiscale, con il rischio - per nulla ipotetico - che il già fragile equilibrio dei conti pubblici statunitensi rischi di saltare del tutto.

Infatti, il debito americano è colossale, il deficit fuori controllo... tanto che Moody's, una delle più influenti agenzie di rating al mondo, ha deciso di togliere agli Stati Uniti il rating massimo di tripla A. Un'umiliazione simbolica e sostanziale che dovrebbe far riflettere.

Gli Stati Uniti oggi avrebbero bisogno di rigore nei conti, di una strategia chiara per ridurre la spesa pubblica e rilanciare la crescita. Invece, si trovano con una politica economica fatta di promesse facili e decisioni populiste. Ma i mercati non votano, non si lasciano incantare dalle parole. 

E come ha reagito Trump? Giocando ancora una volta la carta dei dazi, probabilmente per poi mettere sul piatto l'acquisto dei titoli del debito pubblico statunitense come arma di ricatto. Con Trump, nulla è da escludere e nulla deve più stupirci... oltre ad indignarci.