S. MARIA CAPUA VETERE  (CE) – (Ernesto Genoni) - Quanto prima la presentazione del libro “Vittima innocente”, il libro dell’Avv. Raffaele Crisileo dedicato alla vicenda giudiziaria del Maresciallo Alfonso Bolognesi. “Accanto alla doverosa opera professionale profusa per il trionfo della verità fattuale e processuale - così l’autore - ho inteso conferire all’amico Bolognese il mio sincero supporto umano.”  Alfonso Bolognesi, nel nome di un’altra verità, quella storica, quella che la sua coscienza ben conosceva, - così nella prefazione al libro - ha cambiato la verità processuale.

Il libro è un racconto-cronaca di una vera e propria odissea giudiziaria durata quattordici anni, e che conta tre processi e quattro interminabili anni di carcere. Lungaggini della giustizia ormai non più accettabili, in nessun posto del mondo, così come dai commenti lanciati anche da alcuni autorevoli organi di stampa nazionale.  Un esempio di tali casi – che per molti versi ricorda quella del compianto Enzo Tortora – è quello occorso ad Alfonso Bolognese – commentò a caldo dalle nostre colonne l’Avv. Mario Romano, presidente emerito dell’Ordine Forense di S.Maria Capua Vetere e autore del libro “La (ragna)tela di Penelope” in cui descrive casi di “Ritardocrazia processuale” – il Maresciallo dei Carabinieri Comandante della Stazione dell’Arma di Castel Volturno, arrestato e incarcerato nel lontano 2008 perché accusato da un collaboratore di giustizia, successivamente smentito, di favoreggiamento della latitanza di un pregiudicato.

Un fatto di giustizia triste e doloroso, terminato, come risaputo, con l’assoluzione del sottufficiale dei Carabinieri, in sede di revisione e la sua reintegrazione nel grado.

La vicenda, lo ricordiamo, si è snodata nei tre gradi di giudizio ed infine, dopo la cassazione, in quello di revisione, per una durata complessiva di quattordici anni, al termine dei quali il Sottufficiale, dopo lunghi anni di detenzione, è stato completamente prosciolto e – purtroppo in età prossima al pensionamento – riassunto in servizio, peraltro senza il grado superiore cui avrebbe avuto diritto.

Qui in anteprima, rispetto ad una presentazione ufficiale confacente alla elevata validità della pubblicazione stessa, ci pregiamo riportare la prefazione al libro dell’Avv. Crisileo, di Santa Maria Capua Vetere, alla cui tenacia va ascritto il felice epilogo di quella odissea. Scritta da Patrizio Gonnella, uno dei massimi esperti dei luoghi di privazione della libertà presso il Consiglio d’Europa, che si è sempre occupato di giustizia, carceri e diritti umani. Dal 2005 è presidente nazionale dell'Associazione “Antigone”, nonché fondatore dell'Osservatorio europeo sulle condizioni di detenzione, rete di organizzazioni non governative e universitarie che coinvolge partner di otto paesi europei.

Nel presentare il libro, Patrizio Gonnella, fa riferimento alla storia del povero mugnaio Arnold di Brandeburgo del racconto del grande regista tedesco Bertold Brecht. L’avventura di Arnold serve a spiegare un concetto abbastanza semplice: nessuno, nemmeno il sovrano più potente o l’istituzione più complessa, è al di sopra della legge. - “Ci sarà pure un giudice a Berlino, implorava il mugnaio Arnold, sperando di ottenere quella giustizia che fino ad allora gli era stata negata e di riavere il mulino che gli era stato ingiustamente confiscato. Conosciamo questa storia, vera o verosimile che sia, grazie a Bertolt Brecht. Risale più o meno alla fine del 1700. Proprio negli stessi anni in cui Cesare Beccaria dava alle stampe quel meraviglioso libretto che segnerà in meglio la storia del diritto penale nell’era moderna. – Esordisce così nella prefazione al libro, Gonnella - Il filosofo milanese nella sua grandiosa opera “Dei delitti e delle pene”, in forme razionali e geometriche, ha costruito un modello processuale che avrebbe dovuto assolvere al suo duplice compito - consistente nell’avvicinarsi il più possibile alla verità dei fatti e assicurare al contempo adeguate garanzie alla persona accusata di un delitto - usando tutte le possibili accortezze investigative e procedurali. Le prove, per Beccaria, devono essere sempre affidabili e le accuse sempre chiare. La libertà personale è un bene troppo prezioso. Richiede che il potere repressivo sia esercitato con la massima cautela. Quella cautela in poenam che papa Francesco, in uno straordinario discorso sulla giustizia e il carcere rivolto all’associazione internazionale degli studiosi di diritto penale, ha affermato debba permeare di sé ogni tassello del potere di punire. Il carcere è sofferenza.

Lo stesso processo è una sofferenza. E carcere e processo saranno sempre più produttori di dolore tanto più ci si allontana dai principi illuministici di una pena dolce, pronta, proporzionata, nonché esito di un processo giusto dalla durata ragionevole. Il carabiniere Alfonso Bolognesi, così come il mugnaio Arnold, ha creduto nella giustizia, anche quando questa gli si è contrapposta nella forma più crudele. Non si è sottratto alla stessa anche quando essa aveva perso le sembianze e l’equilibrio di una bilancia. Da uomo rispettoso delle istituzioni ha lottato nei confini della legge per far conoscere la sua verità. Opportunità che non gli era stata precedentemente fino in fondo consentita. Alla fine ha trovato anche lui un giudice a Berlino che gli ha restituito libertà e dignità, due parole che non possono che andare insieme, come ci hanno insegnato Beccaria e Kant.

La storia di Alfonso Bolognesi è una vicenda che per vari tratti assomiglia tragicamente ad altre, ma per una se ne è profondamente e fortunatamente per lui distinta: Alfonso Bolognesi ha ottenuto la revisione del processo. I casi di revisione del processo sono molto pochi nella realtà dei nostri tribunali. La revisione del processo mette in discussione la verità processuale, segna la tangibilità del giudicato. Ebbene, Alfonso Bolognesi, nel nome di un’altra verità, quella storica, quella che la sua coscienza ben conosceva, ha cambiato la verità processuale. Non si è mai rassegnato, anche quando era in carcere a scontare una pena ingiusta. Ad Alfonso Bolognesi è stata restituita la divisa da Carabiniere. Con questo libro, il racconto allo stesso tempo bello e tragico della sua vita, gli restituiamo anche una piena dignità sociale.”