A due settimane dal voto per le presidenziali, l’Office of the Director of National Intelligence (ODNI) ha diffuso una relazione sulle potenziali minacce allo svolgimento delle elezioni.

Oggi, una settimana dopo il voto, possiamo dire che gli espertoni di Washington non ci avevano azzeccato nemmeno un po’. Anzi, non si erano nemmeno troppo sforzati di inventare qualcosa di nuovo. Si sono limitati a mettere in guardia con gli hacker russi, la solita solfa da 10 anni a questa parte, poi attenzione alla Cina e infine occhio agli iraniani, che certamente fomenteranno la violenza come avevano fatto “quasi certamente” nel 2020.

Sì, “quasi”, perché nel suddetto report si conclude che “ad oggi non ci sono informazioni sul fatto che un qualche attore estero intenda compromettere l’integrità del processo elettorale”. L’FBI ha riferito di falsi allarmi bomba, che che “sembravano” provenire da email russe e  che erano “poco credibili”. Qualcosa di poco credibile che sembrava provenire da indirizzi russi.

E tanto basta per gridare al complottone di Putin... Ciò che sembra, invece, è che le organizzazioni e le agenzie governative raccolgano qualunque voce, frase, video e soprattutto opinioni, non importa quanto poco serie o palesemente fake, purché serva per creare il faldone delle interferenze russe da consegnare a Washington. Missione compiuta, Sir. Tanto Russia, Cina e Iran sono i cattivi, qualcosa di cattivo dovranno pur aver fatto o almeno pensato!

E meno male che a mettere in piedi tutto l’apparato accusato è niente meno che la Intelligence Community (IC), entità federale che include 18 organizzazioni governative dedicate all’attività di intelligence. Hanno detto che da qui al 20 gennaio, giorno dell’insediamento del nuovo presidente, potrebbe ancora accadere qualcosa. Aspettiamo e vedremo.

Finora tutti i loro scenari si sono rivelati infondati e fuorvianti.