Alla consueta conferenza stampa del 15 agosto, in cui il ministro dell'Interno illustra l'attività fin qui svolta dal suo ministero, Marco Minniti si è complimentato con se stesso per quanto riguarda l'attività svolta da polizia e vigili del fuoco in merito alle problematiche sulla sicurezza, quella relativa all'ordine pubblico e quella relativa alle calamità naturali.

Minniti, poi, ha anche parlato del problema migranti e dei flussi dei migranti, in relazione, soprattutto al Mediterraneo centrale dove il ministro ha detto di "vedere la luce alla fine del tunnel".

E per quanto riguarda le ONG, Minniti ha ricordato che sono solo due quelle che non hanno firmato di il codice di condotta: "Rispettiamo chi non ha firmato, crediamo ci debba essere rapporto di fiducia tra il dispositivo di sicurezza e salvataggio nazionale e le Ong. Pensiamo che questo rapporto debba andare avanti per il salvataggio di persone nel Mediterraneo centrale.

Si pone poi la questione delle condizioni di vita, questo è l'assillo personale mio e dell'Italia. Su questo abbiamo lavorato e messo in campo una iniziativa, questo deve essere l'imperativo su cui lavorare insieme al governo libico."

Che cosa abbia voluto dire Minniti con queste parole è un rebus. Di certo è che il governo libico ha minacciato l'operatività delle ONG, tanto che tre di loro hanno fermato le proprie navi, e su questo argomento Minniti non ha pronunciato alcuna parola di chiarimento. Di sicuro è difficile che ciò possa contribuire a favorire le operazioni di ricerca e soccorso.

Per quanto riguarda poi le condizioni di vita dei migranti in Libia, il cui numero non potrà che aumentare, è un problema di cui Minniti non poteva non essere a conoscenza e di cui non poteva non immaginarsi. Far finta di niente non è certo il modo migliore per manifestare il suo "assillo" e quello dell'Italia.

Il piano Minniti, appoggiato dalla stessa Unione Europea, è stato da tempo oggetto di perplessità e critiche anche da parte di molte organizazzioni umanitarie, come Human Rights Watch, che ha definito sconcertante "incaricare le forze libiche di contribuire a chiudere il confine dell’Europa, prima di assicurarsi che i diritti più basilari dei migranti vengano rispettati in Libia".

E questo, in base al fatto che secondo il diritto internazionale "nessun individuo che sia tratto in salvo o intercettato da una nave con bandiera dell’Unione Europea, o che sia sotto la custodia o il controllo di uno stato membro dell’Ue, può essere rinviato in un posto, o consegnato ad un’autorità, che lo esponga a un rischio concreto di tortura o maltrattamento, il cosiddetto principio di non-refoulement.

Di fatto, il divieto si estende ai rinvii in Libia o alla consegna a forze libiche, e vige anche se l’Italia effettua soccorsi o intercettazioni in acque territoriali libiche.

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha affermato questo principio in una sentenza decisiva del 2012 contro l’Italia per la prassi, attuata nel 2009, di intercettare barconi e rinviare migranti in Libia."