Gholam Najafi era un bambino afghano, amava la scuola e lo studio, ma al contrario doveva fare per forza il contadino e il pastore, doveva aiutare anche lui in famiglia. Amava il Corano, era un buon mussulmano e già a sei anni faceva il digiuno.

Ma le tensioni in paese erano altissime e suo padre fini' per essere ucciso in montagna da un gruppo di Talebani. Suo padre non amava le armi, ma come racconta Gholam nel film "in quegli anni, in Afghanistan, era normale possedere armi...".

Aveva allora dieci anni e la vista di suo padre morto fece scattare nel piccolo Gholam una irrefrenabile voglia di scappare, di fuggire tutte quelle atrocità che prima o poi avrebbero coinvolto anche lui. Di nascosto, senza dire nulla a sua madre, preparò il suo incredibile viaggio. Pakistan, Iran, Grecia, Turchia, i Balcani e infine Marghera, Venezia. Ci aveva messo sei lunghi anni. Aveva lavorato da schiavo per ripagare i contrabbandieri di uomini.

È stato più volte picchiato e più volte era finito in prigione. Dei suoi compagni di viaggio si sono perse le tracce. Lui solo, semianalfabeta, è arrivato a Porto Marghera. Senza conoscere una parola d'italiano, senza sapere dove fosse. Aveva allora sedici anni. E aveva allora come ora, una volontà e una forza d'animo incredibile.

In due anni ha studiato ininterrottmente la lingua, superando poi un esame di ammissione é stato ammesso alle superiori e neanche a dirlo ha ottenuto la maturità. Adesso a ventisette anni ha preso due lauree alla Università Ca Foscari di Venezia, fa il portiere di notte per mantenersi e ha scritto due libri più molte poesie.

Racconta Marco Agostinelli, regista del documentario "Gholam il mio Afghanistan" che sarà presentato domani 15 marzo al MIM di Belluno: "Quando abbiamo deciso di girare questo documentario pensavo che ci sarebbero stati dei momenti in cui il suo racconto mi avrebbe fatto soffrire, ma Gholam è un portento, porta sulle sue spalle così tanto coraggio e ottimismo che non hai tempo per la tristezza, lui è un vaso comunicante di voglia di vivere".

Quando si dice un'integrazione davvero a lieto fine.