Tra le tante contraddizioni ed ipocrisie che l'emergenza da coronavirus ha svelato in queste settimane, la più eclatante è quella che riguarda la città di Taranto e lo stabilimento per la produzione di acciaio dell'ex Ilva, adesso gestito da ArcelorMittal.


È di oggi la notizia che un terzo dipendente dell'acciaieria di ArcelorMittal a Taranto, sottoposto al test per verificare la positività dopo essersi sentito male durante il turno di lavoro, potrebbe essere il terzo contagiato da Covid-19 registrato nello stabilimento pugliese.

In attesa di conoscere il risultato del tampone, l'azienda ha comunque attivato le procedure di sanificazione del luogo in cui il dipendente era solito operare e lasciato a casa i suoi colleghi di lavoro che, a quanto pare, in queste ore verrebbero già preventivamente sottoposti al test per verificare eventuali contagi.

Secondo quanto riporta l'Ansa, riferendo fonti sindacali, ArcelorMittal che fino a qualche mese fa sembrava non ritenere conveniente produrre acciaio a Taranto, in questo periodo in cui nella maggior parte dei Paesi in tutto il mondo vi è una quasi totale sospensione delle attività, "lo stabilimento marcia con quattro impianti, gli Altiforni 1 e 4, l'Acciaieria 2 e il Treno nastri 2 e impiega mediamente circa 3.200 dipendenti diretti e circa 1.500 lavoratori dell'appalto nelle 24 ore", anche se "le sigle metalmeccaniche da tempo chiedono di portare lo stabilimento in regime di comandata con l'utilizzo di non più di 1200-1500 lavoratori".


Quindi, in base a quanto si apprende, da parte di Arcelor produrre acciaio a Taranto non è così poco conveniente, visto che in una situazione dove a livello mondiale vi è un lockdown generalizzato, ArcelorMittal impiega 1.500 lavoratori dell'indotto e più di un terzo dei suoi dipendenti di quell'impianto.


Oltre a questa prima contraddizione, ve ne è un'altra che riguarda invece le istituzioni locali e quelle nazionali, in relazione alla produzione dell'ex Ilva. L'Italia adesso è ferma (per la maggior parte) e alla gente si dice di rimanere a casa e di non uscire per preservarne la salute. Misure che finora non hanno comunque evitato che 20mila persone potessero perdere la vita. Se tali misure non fossero state prese, il numero di vittime sarebbe stato sicuramente di gran lunga maggiore. Inoltre, l'attuale periodo di clausura, se la diffusione del contagio dovesse diminuire a questi ritmi, probabilmente durerà fino alla metà di maggio. 

Saranno pertanto almeno due i mesi in cui un intero Paese si è fermato per non mettere a rischio l'incolumità dei suoi abitanti.

Detto questo, parlando di Taranto, non si può non richiamare alla memoria quanto è stato detto e fatto in relazione allo stabilimento ex-Ilva, nonostante abbia inquinato per anni un'intera città ed il territorio circostante, mare compreso, causando nel corso del tempo migliaia di vittime... anche tra i bambini! 

Gli impianti dell'Ilva (prima) e di ArcelorMittal (adesso) non potevano e non possono chiudere, perché l'Italia non può permetterselo, essendo essenziali all'economia del Paese. La produzione dell'acciaio tarantino è parte irrinunciabile del motore economico dell'Italia. Gli impianti di Taranto non possono pertanto fermarsi... anche se ammazzano le persone che vi lavorano e quelle che a Taranto vi abitano che, tra l'altro, in molti casi sono pure le stesse persone.

Quindi, la domanda sorge spontanea. 

Perché l'Italia deve fermarsi per evitare di far morire molta gente, mentre l'acciaieria di Taranto non deve fermarsi per evitare che i tarantini non continuino a morire per tumori e malattie dell'apparato respiratorio?

Chi abita a Taranto, una volta che l'emergenza coronavirus sarà passata, questa domanda inizierà a porsela e, soprattutto, a porla alle istituzioni locali e a quelle nazionali che, fin d'ora, è bene che pensino ad una risposta convincente per evitare problemi in futuro.