Adesso che il treno delle riforme ha preso slancio nella Chiesa, c’è chi scommette possa far capolino anche in stazioni dismesse da secoli come il diaconato femminile e il celibato facoltativo dei preti.

Il recente e inatteso via libera alle benedizioni delle coppie gay – pastorali e non rituali, però – fa ben sperare i novatores per questo 2024 in cui proveranno a capitalizzare la sollecitudine ai cambiamenti del Pontefice, resasi meno incerta dopo la scomparsa di Benedetto XVI, parafulmine (suo malgrado) dei tradizionalisti.

L’anno appena iniziato offre ai liberal una finestra da spalancare come il Sinodo in chiusura ad ottobre, ma si porta dietro anche incognite legate alla salute dell’87enne Bergoglio – dopo un 2023 travagliato fra carrozzina, ricoveri, e viaggi annullati –, alle tensioni sottotraccia tra lo stesso e la Curia, ad una diplomazia vaticana in affanno sul fronte ucraino dove si allarga il solco coi cattolici di Kiev. E non solo per l’equavicinanza ad invasori e invasi rimproverata al Papa dell’enciclica Fratelli tutti. 

I vescovi della Chiesa greco cattolica, 5 milioni di fedeli sui 5,8 milioni di ucraini legati al Pontefice, hanno platealmente bocciato Fiducia supplicans, la dichiarazione dell’ex Sant’Uffizio sull’omosessualità: loro non benediranno le coppie gay.

Un atto di disobbedienza che compromette ulteriormente le relazioni con la Santa Sede e che ha innescato le contestazioni di alcuni episcopati africani. In risposta il Papa ha esortato la Chiesa ad "abbandonare le ideologiche ecclesiastiche" e il prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, il cardinale Víctor Fernàndez, ha richiamato sì la prerogativa dei vescovi di usare prudenza sulle benedizioni, ma anche l’impegno di tutti i cattolici a difendere chi viene condannato (anche a morte) per la sua condizione sessuale. Come in Africa.

Se Paolo VI nel 1968 mosse in direzione contraria all’orientamento aperturista della commissione di studio sulla pillola, approvando la discussa Humanae vitae, Francesco sui gay ha fatto l’opposto. Il suo placet al testo dell’ex Sant’Uffizio – in sostanziale controtendenza rispetto ad un altro documento del dicastero varato nel 2021 - ha tolto dal tavolo del Sinodo uno dei temi più divisivi. A questo punto la dialettica è destinata a concentrarsi sul celibato, i preti sposati e soprattutto sul ripristino delle diaconesse, tema su cui la relazione finale della prima parte dell’assemblea, svoltasi nel 2023, è rimasta nel guado. L’esternazioni sulla pari dignità di genere derivante dal battesimo, riecheggiate in Aula, invogliano ad andare oltre le riforme ’rosa’ decise negli ultimi anni (accolitato e lettorato per entrambi i sessi, suore e laiche ai vertici della Curia, voto per le donne al Sinodo).

Fonte: Quotidiano.Net