Il redditometro, uno strumento già utilizzato in passato, è stato reintrodotto dal Fisco italiano per contrastare l'evasione fiscale.

Il vice ministro dell’Economia, Maurizio Leo, ha firmato il decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale, ripristinando il meccanismo ideato nel 2010 durante il governo Berlusconi. Questo strumento permette di controllare i redditi a partire dal 2016 mediante una "determinazione sintetica", basata sull’analisi di campioni di contribuenti e sulla loro capacità contributiva, considerando anche il nucleo familiare e l’area territoriale di appartenenza.

Il funzionamento del redditometro prevede il confronto tra le spese effettive del contribuente e quanto dichiarato al Fisco. Non saranno controllati solo beni immobili e investimenti, ma ogni tipo di spesa. Il decreto specifica le informazioni necessarie per identificare gli elementi di capacità contributiva presenti negli archivi dell’amministrazione finanziaria. Sono state individuate 11 tipologie di nuclei familiari e cinque aree nazionali per condurre le indagini campione.

Una tabella allegata al decreto elenca categorie di beni e servizi detenuti dal contribuente per cui non si dispone di un ammontare di spesa effettivamente sostenuta. In questi casi, viene applicata una spesa minima presunta, rappresentativa del valore d’uso del bene o servizio. Il redditometro considera anche le spese effettuate dal coniuge e dai familiari a carico del contribuente. Al contrario, non sono incluse le spese relative a beni e servizi utilizzati esclusivamente per l’attività di impresa o professionale, purché documentate adeguatamente.

Il contribuente avrà la possibilità di presentare la “prova contraria”, dimostrando che le spese attribuite hanno un diverso ammontare o che il risparmio utilizzato per consumi e investimenti proviene da redditi legittimamente esclusi dalla base imponibile o da soggetti terzi. La reintroduzione del redditometro ha scatenato polemiche, poiché molti italiani ricordano il timore suscitato dallo strumento in passato.