SANTA MARIA CAPUA VETERE - A breve in libreria "Atropo": tre storie di fine ventesimo secolo, un libro di Antonio di Rienzo, classe 1952, Medico di Santa Maria Capua Vetere, un libro edito per i tipi della casa editrice “Saletta dell’Uva”. Tre racconti avvincenti, da leggerle tutto d'un fiato, che trascinano il lettore in situazioni che hanno dell'incredibile.

Atropo, sia letteralmente che metaforicamente - così nella presentazione di Castrese L. Schiano - rappresenta l’inesorabile moira - nella mitologia greca, la forza misteriosa, irresistibile, superiore alla stessa volontà e al potere degli dei - che attende tutti al varco, e a cui nessuno può sfuggire, creda o no nella sorte, nel fato o in altre forme sovrannaturali in cui sono racchiusi i destini di ognuno.

In questa visione trovano posto sia la concezione latina del “Faber est suae quisque fortunae” che quella greca, secondo la quale “Contro il fato, neppure gli dei combattono”. Come si inseriscono i tre racconti nell’alveo di queste citazioni? Nel primo, la tracotanza di un boss e il tipo di vita da lui scelto, nonostante le insistenze della moglie, sono la causa della sua fine. E a questo caso si attaglia alla perfezione la citazione sallustiana.

Nel secondo, l’omicidio del garzone di un pub da parte di un balordo è la causa causante della morte dell’omicida, dei due comprimari e di quanti – anche incolpevoli – hanno occasione di unirsi a loro. Il destino di costoro è segnato dalla legge del contrappasso per analogia, più dura con l’omicida che, imbelle ed impotente, quando tutto sembra andare per il meglio, deve assistere allo stupro della fidanzata e trascorrere il resto della vita a mendicare per le strade della città, proprio come la presenza di quella sovrannaturale ed inquietante entità, da lui sprezzantemente definita “vecchio sacco di pulci”.

Un altro componente del trio, Stefano, il fato lo fa incontrare e successivamente scontrare con dei malviventi, i quali modificheranno in senso negativo e tragico la sua vita, facendolo morire, dopo anni di sofferenze, in preda alla pazzia.

Al terzo comprimario, il più accomodante e meno violento, quello che credeva alle profezie e al sovrannaturale, viene concesso di gustare i piaceri di una brillante carriera, di una situazione economica di tutto rispetto, nonché di una affiatata ed invidiabile famiglia. Anche a lui, proprio in virtù della stessa legge, dopo la perdita di tutti i beni che avevano allietato la sua vita, viene riservato di attendere, tormentato dai rimorsi e poi del tutto inebetito, la propria fine.

A nessuno dei tre personaggi viene concesso di poter o crearsi una famiglia o goderne a lungo, proprio come, per loro decisione, la stessa opportunità era stata negata al cassiere del pub.

Nel racconto che chiude la trilogia, che rientra più nel caso previsto  dalla citazione greca, l’ineluttabilità del Fato, che da altre posizioni fideistiche o ideologiche potremmo anche definire predestinazione, ci fa assistere  alla tragica fine di due giovani donne, che, avuta dal destino una coppia di genitori violenti e fedifraghi, sono costrette a porre fine, in modo violento, alla loro esistenza, dovendo rinunciare, non senza dolore e rimpianto, al roseo futuro a cui potevano lecitamente aspirare le loro giovani esistenze."