Le rotelle dei trolley sui sampietrini, il garrito dei gabbiani, le campane che battono le ore, il sussurro di preti e suore a passeggio, i suoi colori, le albe e i tramonti da cartolina, ma anche il vociare delle risse per strada, il rombo di aerei troppo vicini, i clacson del traffico. Benvenuti a Roma, una città che stando ai media e ai residenti è prossima al collasso, sempre tra le ultime nelle classifiche di vivibilità con una lista di nefandezze tutte sue, da una serie di amministrazioni fallimentari alla corruzione capillare, da rigurgiti fascisti non più minoritari a una criminalità diffusa. Infinite sono le sue contraddizioni che la fanno essere incredibilmente ingannevole, perché sembra ciò che non è ed è ciò che non appare. È grande e invece è immensa (è la metropoli più estesa d’Europa), viene definita sempre “eterna” (è stata fondata oltre 2770 anni fa) ma in realtà è profondamente moderna se la sua crescita dal dopoguerra ad oggi ha distrutto vestigia di migliaia di anni e sconvolto la geografia di mezza regione. I romani, poi, quelli veri come chi lo è diventato vivendoci, le sono affezionati e non pensano (né riescono) mai a tradirla. Per capirla e guarirla, viene giustamente scritto in “The Passenger Roma” - la guida più bella e originale dedicata alla Capitale d’Italia pubblicata da Iperborea - “bisognerebbe considerarla una città normale, allo stesso titolo di Chicago o Manchester, solo dannatamente più bella”. Qualcosa potrà forse cambiare con un nuovo sindaco o forse no, o meglio, non più di tanto, perché Roma – come scrive Christian Raimo nel suo reportage narrativo contenuto nella guida, “è una città che non sa essere normale e straborda in tutto: dimensioni, problemi e brutture”. Quello dell’insegnante, giornalista e scrittore romano, attivista impegnato in prima linea nel Municipio III come assessore alla cultura, è una delle attente e insolite analisi che potrete leggere in “The Passenger” che come nelle altre guide già pubblicate – dall’Islanda al Giappone, dall’India all’Olanda, da Berlino a Parigi – è una speciale raccolta di inchieste, reportage letterari e saggi narrativi che nel loro insieme formano il ritratto della vita contemporanea di una città e dei suoi abitanti.

Benvenuti, dunque, a Roma, “una città con una colonna sonora propria, bellissima e caotica”, dice Letizia Muratori e il suo contributo (è l’autrice, tra gli altri, di “Tu non c’entri, Einaudi; Animali domestici, Adelphi e Carissimi, La Nave di Teseo) è un vero e proprio invito all’ascolto, a cominciare dalle vie del centro storico che lei conosce molto bene, come via del Babuino, ad esempio, “uno di quei posti in cui la sera cala un silenzio tale da avvertire non solo il rumore dei tuoi passi, ma anche quello dei tuoi stessi pensieri, come se parlassero ad alta voce”.

Priva di una significativa tradizione imprenditoriale, questa città è ancora prigioniera di forze che ne frenano lo sviluppo – precisa Marco D’Eramo, giornalista e scrittore – da un apparato burocratico assistenzialista a un clan di palazzinari abusivi fino a un “nemico in casa”, il Vaticano, proprietario di un quarto del patrimonio immobiliare cittadino. “La vera anima della città”, dice Matteo Nucci, scrittore e traduttore (su tutti, Il Simposio di Platone, Einaudi) - è il Tevere con cui Roma ha un rapporto controverso eppure lì, a ben vedere, c’è tutto un mondo, “una volta ricchissimo, oggi quasi perduto – con una storia pressoché sconosciuta. Chi era e chi è oggi un barcarolo e dove iniziava e dove sta la città fluviale sono solo alcune domande a cui troverete risposta leggendo il suo racconto che inizia in una di quelle domeniche mattine che ha una dolcezza amara capace di toccare una corda tipica dell’animo romano, “tanto che ogni volta la si vorrebbe vivere più a lungo pur di capire qualcosa di un carattere così semplice e complesso che in genere, per evitare problemi, definiamo eterno”.

Capire Roma è impossibile, qualcuno ci è persino riuscito, ma non (almeno per ora) lo scrittore Premio Strega Francesco Piccolo, “casertano naturalizzato”, ma nonostante questo, sono tanti i motivi per amarla e nel suo contributo ce li elenca in attesa di arrivare a poter dire anche lui, un giorno, “che la ama e la capisce come un vero romano”, un uomo che a ben vedere, nell’immaginario collettivo, ma soprattutto nella realtà, appare sempre stanco. I romani, scrive Piccolo, si sono stancati di tutto: dei genitori, dei figli, degli amori, degli amici, dei vicini, dei colleghi e degli amanti. “Si sono stancati delle cose che durano, ma la cosa più incredibile è che si sono stancati ancora di più delle novità. Si sono stancati subito, persino della pandemia. Si sono stancati di tutti, nessuno escluso”. Quelli di Prati – “un quartiere “che ricorda quello dove abitavano i funzionari di Berlino est o dove abitava Fidel a Cuba” – ti accolgono per qualche ora se si è un individuo che ha qualcosa da dire o da portare in dote. Dopodiché, sul far della sera “ti fanno capire che te ne devi andare, che devono restare tra loro”. Vivere in una città del genere è difficile, ma non impossibile. Più che altro – continua – viverci è entusiasmante e muoversi dentro quella nebbia di stanchezza e avere ostinazione, forza e gratitudine, “è come essere arrivati a un livello molto alto nei videogiochi, in quei quadri difficilissimi da decifrare, e mentre ragioni sei già morto”.

Come in tutte le grandi città, a Roma c’è ovviamente un centro e un’enorme periferia, come quelle contagiate da rivolte di cittadini esasperati da centri d’accoglienza e campi rom”, spiega Leonardo Bianchi, news editor di Vice Italia, ricordando episodi non poco piacevoli a Torre Angela, a Casal Bruciato, a Corcolle, al Trullo, a Torre Maura e a Tor Pignattara nel nome del “più semo, mejo stamo”. Le violenze e i soprusi ci sono e i Casamonica sono un vero e proprio clan, una rete di famiglie rom che si è stabilita ai margini della metropoli prosperando in un deserto sociale e istituzionale, dedicandosi a usura, estorsione e spaccio di droga. Il loro impero, scrive la giornalista d’inchiesta Floriana Bulfon, è stato costruito sulla ferocia e l’impunità e si specchia in un’estetica della violenza riprodotta nei romanzi e nelle fiction criminali della Capitale, una città aperta che troppo spesso distoglie lo sguardo mentre mafie locali e narcos internazionali si mischiano a imprenditori e politici er ripulire la loro immagine e i loro soldi. Francesco Pacifico, autore di “Le donne amate” (Rizzoli) ci parla dei giovani romani, in particolar modo di quelli che vivono o “bazzicano” tra Monteverde e Trastevere, centro della movida capitolina (almeno prima del Covid), tra alcol, droga, vite sbandate e senza speranza, emblemi (in)consapevoli di una tradizione nichilista che racconta una città senza coscienza di classe, una città che è una classe sociale a sé stante. Ragazzi che qui giocano e continuano a giocare nonostante sia, in tal senso, “la meno professionale d’Italia”, sognando il nuovo stadio a Tor di Valle che non si sa se e quando mai si farà.

Gioventù in alcuni casi bruciata, come quella che ci racconta il direttore del Salone del Libro di Torino Nicola Lagioia che nel suo nuovo romanzo, “La città dei vivi” (Einaudi), e qui in The Passenger, ricorda il caso Varani, un folle omicidio senza alcun movente, avvenuto nel marzo del 2016. Ci sono i due colpevoli dell’omicidio, Marco Prato e Manuel Foffo, c’è la crudeltà la ferocia, citando il titolo del libro con cui Lagioia ha vinto lo Strega, ma c’è soprattutto questa città dove l’inspiegabile alla luce del sole è sempre una sua caratteristica. A Roma, scrive, ci si esprime giorno e notte senza peli sulla lingua, non si fa che imprecare, denunciare, bestemmiare, si fanno i nomi e i cognomi, si maledice, si rivendica, si minaccia, poi si getta tutto in farsa, ed è il motivo per il quale trovare il bandolo della matassa è così difficile perché “il frastuono copre ogni possibilità di comprensione”. Invisibili sono anche gli abitanti del fiume e i tanti clochard che albergano in piazze, vicoli e marciapiedi della città, in una città che si estende fin quasi alla costa dove Roberto Venturini ha deciso di ambientare il suo nuovo romanzo, “L’anno che a Roma fu due volte Natale” (Sem Edizioni) in cui si intrecciano storie e persone che emozionano e a loro modo sconvolgono l’animo umano. Nonostante tutto, Roma e i suoi abitanti stanno cambiando, o almeno così sembra, scrive Sarah Gainforth. Nell’attesa, ci aiutano i consigli di Nadia Terranova che è messinese, ma a Roma ci vive da più di vent’anni e lì ha ambientato anche la sua ultima raccolta di racconti, “Come una storia d’amore” (Giulio Perrone Editore). “Buio in sala” è il libro che ci consiglia, mentre “Bimba col pugno chiuso” è il film e “Come l’oro” di Giulia Anania è il disco. Roma quando canta è femmina e vuole e offre l’amore. A suo modo, ma lo offre. “E se tra i tavolini del Pigneto finisce una storia e forse ne inizia un’altra, tra vecchi tormenti e voci di vento su cuori di foglia, stiamo tutti col core come un vaso de’cinesi rattoppato”