Mentre la premier Giorgia Meloni accelera sulla linea dura in materia di sicurezza e legalità, il sistema carcerario italiano è sull'orlo del collasso. Aumentano i detenuti, ma le carceri non sono pronte a reggere il colpo. E intanto, i suicidi dietro le sbarre raggiungono cifre drammatiche.
Un'emergenza ignorata
Il 9 giugno, nel carcere di Cagliari, un detenuto di 56 anni si è tolto la vita. È il 33° suicidio in cella nel 2025. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha definito la situazione una "vera emergenza sociale", sollecitando il governo a intervenire.
La risposta dell'esecutivo? Inasprire le pene, introdurre nuovi reati e ridurre le misure alternative alla detenzione. Il decreto sicurezza, approvato a giugno, amplia i motivi per cui si finisce in carcere e restringe la possibilità di scontare la pena fuori dalla cella.
Carceri sovraffollate, personale insufficiente
Secondo l'associazione Antigone, ad aprile le carceri italiane ospitavano oltre 62.000 persone, a fronte di una capienza regolamentare di 51.000 posti. Il tasso di sovraffollamento è del 119%: uno dei più alti in Europa. Mancano agenti penitenziari, i servizi sanitari sono carenti, e l'assistenza psichiatrica è spesso inesistente.
Il disagio sta sfociando nella violenza. Il 4 giugno, a Genova, circa 200 detenuti del carcere di Marassi hanno inscenato una rivolta dopo un presunto caso di violenza sessuale tra detenuti. La protesta è degenerata: sezioni devastate, agenti feriti, e il tutto sedato solo con l'intervento della celere. Lo stesso giorno, il Senato approvava la versione finale del decreto sicurezza.
Nuovi reati, vecchi problemi
Il decreto ha introdotto come reato anche le rivolte carcerarie, sollevando critiche da parte di chi teme che si voglia mettere il bavaglio a ogni forma di protesta interna, anche quando motivata da abusi o condizioni disumane.
Alessio Scandurra di Antigone spiega: “Le proteste dei detenuti, a volte, hanno portato a miglioramenti concreti. Ma se si reprime ogni forma di dissenso, si rendono le carceri ancora più chiuse e meno capaci di affrontare i problemi reali.”
Il tema dei suicidi ne è il sintomo più evidente: 91 nel 2024, 33 nei primi sei mesi del 2025. “Avvengono perlopiù nei reparti d'isolamento, dove c'è meno interazione e meno umanità”, avverte Scandurra. “E più isolamento significa più rischio.”
Il precedente Torreggiani: una lezione dimenticata
Nel 2013, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo condannò l'Italia per violazione dei diritti umani (caso Torreggiani), obbligando lo Stato a migliorare le condizioni detentive e promuovere alternative al carcere. In quegli anni, furono avviate riforme, le carceri si svuotarono, si introdussero regimi più aperti.
Oggi tutto questo è stato ribaltato. Il governo Meloni ha detto no ad amnistie, indulti e sconti di pena collettivi. “Non sono compatibili con l'idea di Stato moderno”, afferma il senatore Sergio Rastrelli, relatore del decreto carceri.
Riforme annunciate, crisi ignorata
Nel 2024 il governo ha annunciato assunzioni nel corpo penitenziario e la costruzione di nuovi istituti, con un Commissario straordinario per gestire l'edilizia penitenziaria. Ma si tratta di piani a lungo termine.
“Se il problema è oggi, costruire carceri domani non serve”, afferma senza mezzi termini Scandurra. Per il professore di diritto penale Vittorio Manes, questa politica è solo “marketing elettorale”. “Non si risolvono i problemi costruendo prigioni, come non si sconfigge una pandemia costruendo ospedali.”
Rastrelli, dal canto suo, ribatte che l'approccio del governo è strutturale, non emergenziale: “Le soluzioni tampone hanno fallito. Ora puntiamo su formazione, infrastrutture e analisi della popolazione detenuta.”
Il nodo: recidiva e reinserimento
Secondo Antigone, la vera causa del sovraffollamento è la recidiva. Troppe persone tornano in carcere più volte. Questo dimostra che il carcere non rieduca, non reintegra, punisce e basta.
“Il diritto penale gestisce il fallimento della società, non costruisce convivenza civile”, conclude Scandurra. “Le soluzioni le conosciamo da anni. Sono già nei cassetti dei ministeri. Manca solo una cosa: la volontà politica.”
L'approccio repressivo di Meloni promette sicurezza, ma rischia di alimentare un'emergenza già esplosiva. Senza un cambio di rotta che punti davvero sul reinserimento e su alternative concrete alla detenzione, l'Italia rischia di ripetere gli stessi errori — a un prezzo umano e sociale sempre più alto.
L'articolo è un riassunto di quanto pubblicato dalla versione europea del sito Politico. Visto che la propaganda (post) fascista riporta solo gli articoli della stampa internazionale che esaltano Meloni, è necessario ricordare che non tutti o non sempre ne promuovono "le gesta".
Fonte: Politico