Cronaca

Due poesie sull'assurdità della guerra

Immagine di Copertina, i sei figli di Magda Goebbels ; Helga Susanne (01/09/1932-01/05/1945) Hildegard "Hilde" Traudel (13/04/1934-01/05/1945); Helmut Christian (02/10/1935-01/05/1945); Holdine "Holde" Kathrin (19/02/1937-01/05/1945); Hedwig "Hedda" Johanna (01/05/1938-01/05/1945); Heidrun "Heide" Elisabeth (20/10/1940-01/05/1945), fonte wikipedia

Una poesia si chiama "I sei figli di Magda Goebbels" e l'ho  scritta per i sei figli di uno dei più efferati criminali nazisti, Joseph Goebbels e sua moglie Magda, che avvelenarono, dopo averli addormentati,  i loro sei figli nel bunker di Hitler il 1 maggio del 1945, alla caduta del Terzo Reich.

I bambini, sono bambini, e pagarono tutti, che fossero ad est o ad ovest del Reno, che fossero indo-ariani, nazisti,  slavi, comunisti, franchi o atini.

L'altra poesia, che ho intitolato La Rosa di Aleppo, è dedicata alle vittime della guerra in Siria, una guerra molto simile a quella che sta imperversando in Ucraina, ma ignorata nel suo brutale tambureggiamento balistico, da gran parte dell'opinione pubblica e le cui manifestazioni visibili all'occidente furono nelle colonne di profughi siriani, alcuni dei quali sono ancora oggi imprigionati nelle foreste tra Bielorussia e Polonia.


I sei figli di Magda Goebbels

Come ombre al carbone, le vostre vite,
su pareti di cemento armato giacciono,
nelle catacombe dell’odiato bunker riecheggiano,
mentre fuori le foglie di maggio sono già rinsecchite.
Le ultime  pallottole sibilano inferocite
in quel cortile spoglio di umana misericordia
dove la follia e la potenza di fuoco riunite,
si sono sposate nell’ultima danza balorda. 
O miei piccoli, in quella Berlino di maggio
farcita di fragori e di fuoco, foste avvelenati,
per sfuggire alla stella di sangue, si disse, salvati,
mentre sotto la croce di ferro fu detto coraggio !
In quelle sei ampolle di minuzia cristallina,
si nascondeva l’amaro e macabro messo,
che fece che mille anni di regno promesso,
non superarono i dieci per tutto ciò che cammina.
Che tenebre! che fuoco! che miseria e veleno
per tutti i figli e fratelli al di qua e al di là del Reno.
 

La Rosa di Aleppo
(Scritta  nel 2014e dedicata alle vittime della guerra in Siria)

Dietro la cortina di morte sospesa
vi è una casa antica, senza più porta
disadorna e crivellata, pare arresa
tutto di lei ci dice che è morta. 
Varcando l’entrata che conduce alla corte
circondati da finestre prive di sguardo
una rosa fiorita, pare sfidare la sorte
di un tempo amato l’ultimo baluardo. 
Un’anziana siriana spogliata di tutto
veglia come scolpita, di rughe e sangue,
ed il velo nero di un eterno lutto
nasconde il buio di un cuore che langue. 
Con lo sguardo assente di chi teme qualcosa,
della fame ancora più grande,
chiede dell’acqua per la sua piccola rosa
del colore di un sangue che arde. 
E’ l’ultima donna rimasta di un intero palazzo,
troppo vecchia per lasciare i ricordi
sotto le macerie del chirurgico razzo,
sopra le rovine di un mondo di sordi. 
O, chissà dov’è il figlio fuggito,
Forse è intrappolato in quel funesto pantano
di un inverno di piogge farcito,
alle porte di un ponente più impaurito che umano. 
“Io sto qui, ho promesso a mio figlio,
che avrei curato la rosa fino al suo ritorno,
a costo di farne il mio eterno giaciglio,
attenderò qui con il suo fiore ogni giorno!"

Scusate se ho sentiti il bisogno di condividere con voi due poesie che ho scritto anni fa. Le ingiustizie e le  guerre  mi hanno reso una persona spesso triste, anche in tempi di pace. Forse sono uno di quelli che anche in una serata gioviale e di festa, sente il bisogno si isolarsi per un attimo, con l'amico di turno a chiedere, "Ma che hai?" Forse perché ho sempre sentito nelle fibre delle mie corde, la precarietà della pace e delle sue acclamanti chimere di una illusoria prosperità.

Una prosperità e una fede nei consumi che ci ha reso cinici ed egoisti.  Non c'è stata mai pace, né giustizia. Il mondo è devastato da guerre, spesso silenziose (le persecuzioni a cui sono sottoposte intere etnie non fanno il rumore delle bombe) e distanti e di cui, forse, cominciamo a prendere coscienza ora che una guerra alle porte di casa minaccia il nostro benessere e progresso sociale. Prosperità però,  fondata negli ultimi anni sull'intreccio affaristico del paradigma globale secondo il quale ci avrebbe pensato il  mercato ad appianare ingiustizie e dittatori. Ed ecco allora governi canaglia, che mentre fanno a pezzi dissidenti in una valigia addirittura fuori dai propri confini e costruiscono il più grande sistema di schiavitù economica (dopo quella afroamericana naturalmente) e delle donne  della storia dell'uomo (dimostrazione di un senso di totale impunità) offrono templi di cristallo per l'ubriacatura occidentale del lusso. Parlo, naturalmente dell'Arabia Saudita. Ma poi ci sono Russia e Cina. Quando parlo di paesi mi riferisco ai loro regimi non alle genti. La Cina, credetemi perché ci ho vissuto quel che basta, sarà la spoletta che innescherà la prossima crisi. Il partito è fatto da cinici e spietati (guardate al silenzio quasi vomitevole sulla guerra in Ucraina); la rivoluzione culturale del 1966 ha fatto piazza pulita di ogni forma di morale sociale o etica politica. Della saggezza passata, hanno conservato solo le cose peggiori, come il precetto confuciano della sottomissione collettiva alla gerarchia, dell' obbedienza e dell'insignificanza individuale. E intanto, nell'indifferenza  occidentale,  provvedono alla più grande pulizia etnica e rieducazione politica, con tanto di campi,  compiuta da un paese entro i propri confini, a beneficio della maggioranza  Han. Uiguri, tibetani e honkonghini, soppressi e repressi nell'indifferenza generale. Presto sarà la volta di Taiwan, Formosa, molto presto. I leader cinesi hanno il dollaro al posto dell'iride e noi, al posto della coscienza, ciò che il dollaro promette. 

E negli ultimi decenni? Dalla Bosnia del 1992, passando per Somalia, Ruanda, Iraq e alla Siria, è stata tutta  una battaglia per l'annientamento dell'uomo e di tutte le opere del suo ingegno. Da troppo tempo non facciamo i conti con il senso di giustizia che ci abita nel profondo. Mio padre, classe 1933,  una delle cose che ricorda ancora, con gli occhi lucidi, dei suoi 10 anni, è l'odore acre dei cadaveri bruciati nei crateri della guerra di liberazione.  Sentivo, mentre mi raccontava queste cose su di lui o del nonno (addirittura classe 1898) che questi ottant'anni che ci dividono dall'ultima guerra, non sarebbero durati per sempre.

Adesso che la guerra è alle porte, sento il bisogno di condividere scritti su civili che, come gli ucraini di oggi, sono morti quasi senza sapere perché, nelle notti farcite di obici e sangue.

Autore Paolo Maggioni Conte
Categoria Cronaca
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