Grafico 1: Sebbene le prospettive delle persone del mondo varino nello spazio e nel tempo, ogni preoccupazione umana cade da qualche parte nel grafico spazio-temporale. La maggior parte delle persone nel mondo si occupa di questioni che riguardano solo famiglia o amici per un breve periodo di tempo. Altri guardano più avanti nel tempo o su un'area più ampia, una città o una nazione. Solo pochissime persone hanno una prospettiva globale che si estende lontano nel futuro.
Per una parte di ragionamento, faccio volutamente ricorso al famoso grafico di uno studio all’avanguardia, The Limits to Growth, pubblicato per la prima volta nel 1972 per il CLUB OF ROME'S PROJECT. Lo studio, come esprime il titolo, era nato per analizzare alcuni scenari ed ipotesi sui limiti dello sviluppo umano, e le sue conseguenze future dal punto di vista economico, demografico ed ambientale (scarsità delle risorse e inquinamento). Ma il Grafico 1, è incredibilmente utile al nostro ragionamento per capire come i governanti di oggi siano perfettamente consapevoli delle dinamiche che ne stanno alla base e di come le stiano utilizzando da decenni per manipolare il consenso a proprio vantaggio, soprattutto in momenti di crisi profonde di sistema.
Nel grafico, ai due estremi, emergono le due visioni contrapposte.
Una visione parla, e contemporaneamente risponde, alla pancia, delle persone che tradotto significa, cosa mangio oggi? Un cosa mangio, nella sua accezione metaforicamente più ampia, ancorato nell’oggi nella misura in cui non esiste domani per dei bisogni primari (che nella società moderna comprendono anche quelli compulsivi) che richiedono di essere immediatamente esigibili. E’ una filosofia, non sottovalutiamolo, che abbraccia tutti gli ambiti della vita e che non è correlata indissolubilmente (come si pensa a torto) alla condizione socioeconomica delle persone. Ci sono intere porzioni di cittadini disposti a farsi sedurre dalle promesse di un confort maggiore di quello che hanno già, di un consumo di accesso al lusso maggiore di quello che hanno già, di un individualismo maggiore di quello che hanno già, libertà (spesso concepita come la quota di individualismo che si può erigere attorno a sé stesi) e così via. Non parliamo solo di gente la cui unica preoccupazione sia mettere insieme il pranzo con la cena (certo, anche loro ma loro sono disperati e scusati) ma di una classe media e di ceti popolari autodeterminati che sono andati ad ingrossare l’elettorato liquido e imprevedibile di populismi che rispondono ai loro spettri di paure immediate (a volte infondate) e a bisogni non realmente necessari (e spesso indotti). Non bisogna pensare che questa categoria preveda un domani almeno per i suoi figli; anche questi ultimi sono vissuti come emanazione biologica di un presente infrangibile, non evolutivo, dell’oggi e subito, nel quale non è prevista o pronunciata la parola sconfitta, perché quest’ultima presuppone che ci possa essere un domani per porvi rimedio. Le preoccupazioni di chi ha questa visione della vita si sintetizzano e si concludono nello spazio familiare e locale. Non bisogna emettere alcun giudizio, perché questa visione corrisponde, essa sì, ad una precisa evoluzione della specie umana che la vedeva, per ragioni di sopravvivenza, preoccuparsi solo dell’oggi. Del resto come vediamo dal grafico, c’è una maggiore densità di persone che sono relegate all’oggi e al proprio “quartiere”, per le ragioni più diverse, ma tutte determinate da pulsioni immediate.
L’altra visione è quella che parla alla testa, che tradotto significa domani, futuro, in una logica globale o se vogliamo olistica. E qui iniziano i guai. Perché come ben spiegano gli studiosi del cnr, (e come accennato nel paragrafo precedente) siamo “cablati” per ragioni di sopravvivenza e di selezione naturale, all’oggi. Ha a che fare con la nostra natura umana. Il grafico è degli anni ’70 e si basava su una configurazione del mondo molto diversa da quella di oggi ma, nonostante ciò, alcuni principi sono rimasti validi, seppur in proporzioni diverse. Quelli che hanno questa visione del futuro sono oggi spesso una minoranza, anche politicamente, e si sentono isolati. Questo perché è sparita un’intera classe media, fatta di operai e colletti bianchi intermedi che ne costituivano lo zoccolo. Tutta una classe, che vedeva la propria condizione, e quindi anche quella dei propri figli, in evoluzione, in progressivo miglioramento. Potevano guardare al futuro, oltre i propri confini, consentire ai propri figli di andare all’estero, aprirsi a nuove culture per abbattere i pregiudizi. Chi di noi, non ricorda la generazione operaia dei nostri padri che viveva l’oggi nella prospettiva di un domani migliore, di un mondo e non solo di un quartiere più giusto?
La politica, dal canto suo, avrebbe dovuto governare il cambiamento e si è ritrovata a guidare il consenso, e lo ha fatto scientemente, in totale malafede, incapace come era di comprendere e spiegare la complessità dei problemi. Ecco la nascita dei populismi: invece di preparare i cittadini ai problemi crescenti offrendo la costruzione comune di soluzioni costose, a volte dolorose e con risultati a volte estimabili oltre la scala di vita dei presenti, la nuova classe politica di matrice populista e sovranista ha capito che poteva intercettare la loro pancia, offrendo soluzioni semplici a fenomeni complessi, scindendo e traslando le due cose su scale temporali diverse, l’oggi dal domani, così da ottenere maggioranza e poltrone subito. Non sottovalutiamo la portata epocale di questo approccio, lo stiamo vedendo anche in paesi democraticamente e socialmente maturi come la Svezia. A partire dal 2006, per la prima volta dal dopo guerra, governi di centrodestra hanno strappato la maggioranza ai governi socialdemocratici e l’estrema destra è entrata in parlamento. Parliamo di neonazismo duro e puro, in un paese il cui vicino, la Norvegia, ha visto durante il III Reich le fabbriche ariane dei lebensborn (un’esecrazione parossistica dei principi eugenetici) funzionare a pieno regime.
In Spagna, abbiamo visto, nello sbigottimento generale, il ritorno dei neo-falangisti nelle piazze e in parlamento nel 2019, grazie alla sua emanazione politica, Vox.
I motivi che hanno dirottato parte dell’elettorato su posizioni estremiste in Spagna, sono da ricercare negli attentati di Barcellona del 2017, ma nascono già prima durante i sanguinosi attentati di matrice islamica di Madrid nel 2004 (come la strage alla stazione Atocha).
I governanti, anziché spiegare che i processi di secolarizzazione dei paesi islamici e le campagne di deradicalizzazione fondamentalista in Europa, avrebbero richiesto decenni per portare i loro frutti, cosa hanno fatto? Hanno risposto in maniera semplice con l’oggi, su un fenomeno complesso, proiettato invece al domani, cercando il capro espiatorio dirimente che eluda la complessità. Votateci, e cacceremo via tutti gli islamici dalla Spagna; la colpa è dei governi di centro sinistra (o peggio dei comunisti ormai estinti) che vi hanno ingannato promettendo un’integrazione impossibile (che naturalmente si guardano bene dallo spiegare che richiede decenni per completarsi). Potremmo applicare questo schema a tutte le fulminee asce populiste e sovraniste degli ultimi anni. Se le risposte semplici sono rapide quanto ingannevoli, perché l’ascesa di chi le ha date dovrebbe essere più lenta?
Le colpe?
I moderati e i progressisti hanno rinunciato ad intercettare le istanze moderate delle collettività che formano la maggioranza del paese e di cui una buona parte non vota; hanno lasciato gli scienziati soli nella responsabilità di comunicare la verità (con poca ecco mediatica) su cose sulle quali il popolo è stato informato male o indottrinato (surriscaldamento climatico, Covid e vaccini, tecnologia, giurisprudenza, demografia e sviluppo, economia, fenomeni migratori ecc..);
L’elenco potrebbe continuare, ma ci vorrebbero pagine e pagine.
Come se ne esce?
Occorre che le parti sane e progressiste del paese e delle istituzioni, denuncino urgentemente la classe politica che in questi anni ha manipolato il consenso anziché governarlo, producendo un danno socio-culturale nel paese che richiederà anni per essere superato. Sempre queste parti devono parlare alla gente anche di problemi concreti superando il corto circuito ideologico per cui i problemi locali della vita quotidiana (grafico 1) non avrebbero quella nobiltà e politica e intellettuale degna di attenzione, lasciando che siano appannaggio dei populismi.
Ma c’è una fragilità strutturale nelle democrazie mature che rende la loro strada tortuosa e quanto mai incerta. E’ un paradosso e si chiama elezione. Il processo politico che le ha rese forti, avanzate e progredite può diventare un elemento di debolezza in un’era in cui dilagano (anche in Europa) le democrazie illiberali (ossimoro detestabile anche lui ma che va di moda) e i regimi personalistici che manomettono le proprie costituzione per consentire la rielezione praticamente Ab Aeternum dei propri leader. Lo si vede nell’atteggiamento di questi ultimi nei confronti di interlocutori soggetti, invece, agli avvicendamenti di tipo politico elettorale. Applicano la strategia del “prendo tempo” perché “Io ho il tempo e loro no”. Fingono di ascoltare ma rimandano ed eludono costantemente le risposte e le decisioni che vengono richieste a gran voce da altri governi democratici, perché sanno che il tempo può portare in quei parlamenti governi più favorevoli. Si tratta di aspettare, dal loro punto di vista, tempi migliori e, in molti casi, l’attesa premia. Pensiamo forse che, al di là delle finte frizioni di tipo atlantista, al regime di Orban non faccia piacere l’elezione della Meloni? Risposta ovvia e torniamo al punto di partenza: chi sostiene il Par in Parem Imperium non Habet non può che amare chi lo sostiene a sua volta perché i due principi, stravolgendo le leggi della fisica dei poli, si annullano a vicenda.