Affamare o bombardare? Questo è il problema.
Se sia più nobile per l'animo infliggere
la lenta agonia del vuoto nelle viscere,
o scatenare un fragore di fuoco e metallo,
che tutto spezzi e distrugga in un istante.
Affamare: lasciar languire,
vedere i corpi che cedono giorno dopo giorno,
i volti scavati, gli sguardi spenti;
un tormento silenzioso che dilania,
senza un grido, senza un lampo,
ma con un'ombra che si allunga su tutto.
Bombardare: porre fine ai tormenti,
con un urlo che squarcia il cielo,
ferite che sanguinano sul suolo,
vite spazzate via in un istante,
senza rimpianti, senza memoria.
Bombardare, affamare,
questo è il dilemma!
Infliggere dolore nel clamore o nel silenzio?
Infliggerlo comunque.
In quel dubbio si insinua la coscienza,
la mano che stringe la penna e non il grilletto,
la speranza che un altro cammino esista?
Affamare o bombardare:
entrambe colpe, entrambe condanne.
Ma chi ha il coraggio di dirsi giusto
quando il sangue chiama, quando la vendetta lacera?
Quale strada scegliere?
La fame consuma l'anima e il corpo,
lascia i vivi a rimpiangere la morte.
Le bombe spazzano via ogni rimpianto,
ogni memoria, ogni voce.
Entrambe soluzioni senza ritorno,
entrambe macchiano le mani
di chi le ordina,
di chi le subisce.
Eppure, scegliere si deve.
Affamare, con la quieta ferocia
di chi aspetta che il tempo faccia il suo corso,
o bombardare, con il fragore
di una scelta che non perdona.
In entrambi i casi, il giudizio pesa,
in entrambi i casi, il sangue chiama.
Ma affamare o bombardare?
Questo, solo questo, è il problema.