Una donna incinta che tocca il pancione con la scritta l’aborto è il primo caso di femminicidio.
Questi sono i cartelloni della campagna CitizenGo comparsi a Roma in questi giorni. Alcune associazioni hanno chiesto alla sindaca Raggi di farli rimuovere.
Il 19 maggio si terrà la marcia per la vita e per tale motivo chi ha pagato tali manifesti ha spiegato via social che un messaggio così forte è stato pensato per supportare chi sostiene che l’interruzione di gravidanza sia la prima causa di morte delle bambine.
Ognuno di noi è libero di esprimersi contro o a favore l’interruzione di gravidanza, senza dimenticare che non possiamo decidere cosa sia giusto o sbagliato fare, non conoscendo i motivi per cui una donna decida di abortire.
Ma l’aborto non ha nulla a che vedere con tutte quelle donne che vengono uccise dai loro compagni per aver deciso di interrompere una relazione, non possiamo confondere botte e violenze con la scelta di una madre magari in difficoltà, non possiamo confondere donne violentate e picchiate con una campagna pubblicitaria di una marcia per la vita.
Siamo dei cittadini liberi, e da cittadini liberi dobbiamo ragionare. Il problema sociale del femminicidio non ha nulla a che vedere con l'aborto.
Se si desidera far prendere maggior coscienza, soprattutto alle ragazze, su quali siano le implicazioni, anche psicologiche, di un aborto, è necessario farlo a partire dalla scuola, insegnando da lì il rispetto per l’essere umano.