Martedì, il Presidente Draghi ha reso comunicazioni al Senato in vista del Consiglio europeo del 23-24 giugno. Questo il testo del discorso:
"Il Consiglio europeo del 23 e 24 giugno affronterà i seguenti temi:
gli sviluppi della guerra in Ucraina e il sostegno europeo a Kiev;
le ricadute umanitarie, alimentari, energetiche e securitarie del conflitto;
gli aiuti a famiglie e imprese colpite dalla crisi;
le prospettive di allargamento dell’Ue;
i seguiti della Conferenza sul futuro dell’Europa.
Ci avviciniamo al quarto mese dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, iniziata il 24 febbraio. Mosca continua ad aggredire militarmente città ucraine nel tentativo di espandere il controllo sul territorio e rafforzare la propria posizione.
I combattimenti a Severodoneck, nella regione di Luhansk, sono particolarmente feroci.
Il bombardamento russo di Kharkiv, la seconda città più popolosa dell’Ucraina, aggrava il già terribile bilancio di morti e feriti.
Al 20 giugno sono 4.569 civili morti, 5.691 quelli feriti secondo le nazioni unite. Ma il numero reale probabilmente è molto, molto più alto.
Continuano a emergere nuove atrocità commesse ai danni dei civili da parte dell’esercito russo. Le responsabilità saranno accertate e i crimini di guerra saranno puniti. Anche il numero delle persone in fuga dal conflitto continua ad aumentare. Soltanto in Italia sono oltre 135 mila i cittadini ucraini arrivati dall’inizio dell’invasione.
Voglio esprimere ancora una volta la mia gratitudine alle italiane e agli italiani che li hanno accolti.
La strategia dell’Italia in accordo con l’Ue e con gli Alleati del G7 si muove su due fronti: sosteniamo l’Ucraina e imponiamo sanzioni alla Russia perché Mosca cessi le ostilità e accetti di sedersi davvero al tavolo dei negoziati.
Durante la mia recente visita a Kiev insieme al Cancelliere tedesco Scholz, al Presidente francese Macron e al Presidente rumeno Iohannis, ho visto da vicino le devastazioni della guerra e constatato la determinazione degli ucraini nel difendere il loro Paese.
Siamo andati a Kiev per testimoniare di persona che i nostri Paesi e l’Unione sono determinati ad aiutare un popolo europeo nella sua lotta a difesa della sua democrazia e della sua libertà.
Durante la visita il Presidente Zelensky ci ha chiesto di continuare a sostenere l’Ucraina per poter raggiungere una pace che rispetti i loro diritti e la loro volontà. Solo una pace concordata e non subita può essere davvero duratura.
La sottomissione violenta e la repressione di un popolo per mano di un esercito, non portano alla pace ma al prolungamento del conflitto, forse con altre modalità, certo con altre distruzioni. Il Governo italiano, insieme ai partner dell’Ue e del G7, intende continuare a sostenere l’Ucraina così come questo Parlamento ci ha dato mandato di fare.
Il nostro sostegno a favore di Kiev è anche un impegno alla ricostruzione del Paese. Il Consiglio europeo straordinario del 30 e 31 maggio ha discusso di questo, e le conclusioni del prossimo Consiglio riaffermeranno questo impegno.
Non è un’impresa che possono affrontare i singoli Stati. Lo sforzo deve essere collettivo e coinvolgere anche gli Organismi internazionali e le Banche di sviluppo, la Banca mondiale e il Fondo monetario primi tra tutti. Vogliamo ricostruire per ridare una casa alle famiglie che l’hanno persa, per riportare i bambini nelle scuole, per aiutare la ripresa della vita economica e sociale in Ucraina. Oggi spetta a tuti noi aiutare l’Ucraina a rinascere.
A Kiev ho ribadito che l’Italia vuole l’Ucraina nell’Ue e vuole che abbia lo status di candidato. Il Governo italiano è stato tra i primi a sostenere questa posizione con chiarezza e convinzione, in Europa e in Occidente. Se non sbaglio la prima volta che ho affermato questo punto è stato proprio in questo Parlamento. Continueremo a farlo in ogni consesso internazionale, a partire dal prossimo Consiglio europeo.
Sono consapevole che non tutti gli Stati membri oggi condividono questa posizione. Ma la raccomandazione della Commissione è un segnale incoraggiante e confido che il Consiglio europeo possa raggiungere una posizione consensuale in merito.
Gran parte dei Paesi vicini alla Russia, grandi e piccoli, guardano ora all'Unione Europea per la sicurezza, per la pace, per la stabilità. Il percorso da Paese candidato a Stato membro è lungo per via delle impegnative riforme strutturali richieste. Ma il segnale europeo deve essere chiaro e coraggioso da subito. Oggi i Paesi, tra l'altro, sono in grado di portare avanti queste riforme strutturali più velocemente rispetto al passato.
Il 3 giugno il Consiglio europeo ha adottato il sesto pacchetto di sanzioni nei confronti della Russia. E’ stato introdotto l'embargo su tutto il petrolio e sui prodotti petroliferi importati in Europa via mare, rispettivamente a partire dalla fine del 2022 e dall'inizio del 2023. Gli operatori europei non potranno più assicurare e finanziare il trasporto di petrolio a Paesi terzi. Sono state escluse dal sistema Swift altre tre banche russe, tra cui la più grande del Paese, Sberbank, e una banca bielorussa. E’ stato ampliato l'elenco di beni soggetti al blocco delle esportazioni, compresi prodotti chimici che possono essere usati per finalità belliche. Vengono sanzionate altre 18 entità russe e 65 persone, tra cui quello che è considerato il responsabile degli orrori di Bucha. Sono state sospese in Europa le trasmissioni di altre tre organi statali di informazione russa che diffondono propaganda.
Le sanzioni funzionano. Il Fondo Monetario Internazionale prevede che quest'anno il costo inflitto all'economia russa sarà pari a 8,5 punti del Prodotto interno lordo. Il tempo ha rivelato e sta rivelando che queste misure sono sempre più efficaci.
Ma lo voglio sottolineare ancora una volta: i nostri canali di dialogo rimangono aperti. Non smetteremo di sostenere la diplomazia e cercare la pace, una pace nei termini che sceglierà l'Ucraina. Anche dei miei colloqui col presidente Putin, ho più volte ribadito la necessità di porre fine all'aggressione e parlare di pace, di definirne concretamente i termini e i tempi.
Durante il Consiglio Europeo si discuterà anche dell'allargamento dell'Unione ai Balcani occidentali. Il governo italiano è favorevole a far partire i negoziati di adesione con l'Albania e la Macedonia del Nord.
Nella discussione, che inizierà a questo Consiglio Europeo, inoltre il presidente Macron presenterà il suo impegno per una Comunità politica europea. Come ha già chiarito il Presidente francese questo progetto non sarà un canale sostitutivo allo status di Paese candidato.
Il Consiglio di fine mese rappresenta un'occasione per cominciare a guardare al futuro assetto dell'Unione, i suoi confini, la sua sicurezza, il suo sviluppo economico.
Il parere positivo della Commissione europea sull’adozione dell'Euro da parte della Croazia a partire dal 2023 è un ottimo segnale, che naturalmente l'Italia accoglie con favore.
Negli ultimi decenni l'allargamento dell'Unione Europea ha dato pace e stabilità a Paesi segnati dalla guerra. L'allargamento ha trasformato l'Unione Europea nel più grande mercato unico del mondo, che rappresenta tra il 5 e 6 per cento della popolazione e circa un sesto del prodotto globale. Ha creato nuove opportunità di cooperazione tra Paesi in aree di fondamentale importanza: campo energetico, nei trasporti, nella sicurezza alimentare, nella salute, nello studio, nel lavoro. Ha stimolato negli Stati membri lo sviluppo di un'economia di mercato funzionante e favorito un processo di riforme sin dalla domanda di adesione. Ha esteso diritti e tutele, diritti e tutele sul lavoro assenti ancora oggi in altre parti del mondo. Ha fornito un potente incentivo allo sviluppo della vita democratica, al rispetto della dignità umana e dello stato di diritto. Come scritto nel Trattato sull'Unione Europea, ogni Stato europeo che rispetti questi valori e che si impegni a promuoverli può domandare di diventare membro dell'Unione. L'adesione a questi principi non è una considerazione secondaria, è alla base del progetto europeo.
L'allargamento dell'Unione Europea però comporterà certamente anche una riflessione profonda sulle regole che disciplinano il suo funzionamento, in politica estera, di sicurezza, in politica economica, in politica sociale. E’ opportuno convocare al più presto una conferenza intergovernativa per discutere di come affrontare questa sfida.
Uno stimolo il cambiamento è arrivato anche dalla Conferenza sul futuro dell'Europa che si è conclusa a maggio. Le proposte dei cittadini europei, soprattutto giovani, presentate in quell'occasione riguardano temi di grande importanza per il futuro dell'Unione, dal cambiamento climatico allo stato di diritto, e meritano di essere valutate con attenzione.
Il conflitto in atto rischia di creare una crisi umanitaria di dimensioni straordinarie. Le forniture di grano sono a rischio nei paesi più poveri del mondo. Già adesso il blocco dei porti tiene vincolati milioni di tonnellate di cereali del raccolto precedente che rischiano di marcire. Le devastazioni della guerra peggioreranno la situazione nei prossimi mesi. Recenti bombardamenti russi hanno distrutto il magazzino di uno dei più grandi terminali agricoli dell'Ucraina, nel porto di Mykolaiv, che secondo le autorità ucraine conteneva tra 250 e 300 mila tonnellate di cereali.
Le proiezioni fornite dall'Ucraina indicano che la produzione di cereali potrebbe calare tra il 40 e il 50% rispetto all'anno scorso. Dobbiamo liberare le scorte che sono in magazzino in modo da sbloccare le forniture per i Paesi destinatari e fare spazio al nuovo raccolto che arriverà a settembre.
Nell'immediato è necessario realizzare lo sminamento dei porti e garantire l'uscita delle navi in sicurezza. Dopo vari tentativi falliti, non vedo alternativa a una risoluzione delle Nazioni Unite che definisca i tempi di questa operazione e dove l’ONU garantisca sotto la propria egida la sua esecuzione.
L'Europa, sia sul piano G7 che bilaterale, ha messo in atto uno sforzo di cooperazione su larga scala per aiutare i Paesi più vulnerabili.
Negli ultimi giorni la Russia ha ridotto le forniture di gas all'Europa, compresa l'Italia. Dall'inizio della guerra, il nostro governo - questo governo - si è mosso con rapidità per trovare fonti di approvvigionamento alternative al gas russo. Abbiamo stretto accordi importanti con vari Paesi fornitori, dall’Algeria all’Azerbaijan, e promosso nuovi investimenti, anche nelle rinnovabili.
Grazie a queste misure potremmo ridurre in modo significativo la nostra dipendenza dal gas russo già dall'anno prossimo.
In Europa l'andamento del prezzo dell'energia è alla base dell'impennata dei tassi di inflazione degli ultimi mesi. A maggio in Italia l'inflazione ha raggiunto il 7,3%, ma l'inflazione di fondo - che esclude i beni energetici e alimentari - è meno della metà. Per frenare l'aumento generale dei prezzi e tutelare il potere d'acquisto dei cittadini, è essenziale agire anche - e sottolineo ‘anche’, perché i campi di intervento sono vari e non si limitano a questo - sulla fonte del problema e contenere i rincari di gas ed energia. I governi hanno gli strumenti per farlo. La soluzione che proponiamo da diversi mesi è l'imposizione di un tetto al prezzo del gas russo che consentirebbe anche di ridurre i flussi finanziari verso Mosca. Il Consiglio europeo ha dato alla Commissione il mandato di verificare la possibilità di introdurre un controllo, un tetto al prezzo. Questa misura è diventata ancora più urgente alla luce della riduzione delle forniture da parte di Mosca. Le forniture sono ridotte, il prezzo aumenta, l'incasso da parte di Mosca resta lo stesso, le difficoltà per l'Europa aumentano vertiginosamente.
L'Europa deve muoversi con rapidità e decisione per tutelare i propri cittadini dalle ricadute della crisi innescate dalla guerra. Dall'anno scorso l'Italia ha stanziato circa 30 miliardi di euro in aiuti a famiglie e imprese. Parte di questi interventi sono stati finanziati con un contributo straordinario delle grandi aziende energetiche, che hanno maturato profitti enormi grazie all'aumento dei prezzi. Con questa misura abbiamo dunque chiamato le imprese che hanno beneficiato di rincari eccezionali a compartecipare a costi che tutta la società sta sopportando. È stata una scelta dettata da un principio di solidarietà e di responsabilità.
L'Italia continuerà a lavorare con l'Unione europea e i nostri partner del G7 per sostenere l'Ucraina, ricercare la pace, superare questa crisi.
Questo è il mandato che il governo ha ricevuto dal Parlamento, da voi. Questa è la guida per la nostra azione".
Al termine della discussione generale, questo è il riassunto che Draghi ha fatto degli interventi dei senatori:
"Devo ringraziare il Senato per il sostegno ad aiutare l'Ucraina a difendere la libertà e la democrazia; a continuare con le sanzioni contro il paese invasore; a sostenere il potere d'acquisto degli italiani; a preparare con tutti gli altri la ricostruzione dell’Ucraina; a sostenere lo stato di candidato dell'Ucraina all'Unione Europea; a ricercare una pace duratura che rispetti i diritti, la volontà, la libertà dell'Ucraina; a cercare di far di tutto per evitare la tragedia della crisi alimentare nei Paesi più poveri del mondo; a continuare insomma sulla strada disegnata dal DL 14 del 2022.
Ringrazio perché il sostegno è stato unito e l'unità, come molti di voi hanno osservato, è essenziale specialmente in questi momenti. Ringrazio, infine, anche per un altro motivo, quasi personale: in questi momenti, quando il Paese è sia pure indirettamente coinvolto in una guerra, le decisioni che si devono prendere sono molto complesse, sono decisioni profonde, che hanno risvolti anche morali. Per cui avere il sostegno del Senato nel prendere queste decisioni è molto, molto importante per me".
Nei suoi due interventi, il premier non ha fatto mai riferimento alla Nato e agli armamenti. Quanto dichiarato da Draghi è stato approvato dall'Aula con 219 voti favorevoli, 20 contrari e 22 astenuti. Il 22 giugno, alle ore 9, Draghi presenterà la stessa (si suppone) comunicazione alla Camera dei Deputati.