Nel governo del cancelliere Scholz due ministeri di altissimo profilo sono in mano ai leader del partito ambientalista tedesco, il Bündnis 90/Die Grünen (Alleanza 90/I Verdi).
Si tratta di Annalena Baerbock agli Esteri e Robert Habeck all’Economia. Al momento, però, costoro hanno dovuto mettere da parte molte delle promesse ecologiste che avevano fatto all’elettorato tedesco, in particolare quella della rinuncia completa all’elettricità da carbone.
Le circostanze che hanno costretto Berlino al cambio di rotte sono note e sono comuni a tanti Paesi europei, e oggi si sono aggravate con il sabotaggio del Nord Stream 2: seguendo la domanda “cui prodest”, i sospetti si concentrato sugli Stati Uniti, che avevano a suo tempo fatto pressione sulla cancelliera Merkel per impedire l’apertura del gasdotto.
Adesso la Germania teme davvero di restare al freddo, anche se il ministro Habeck tranquillizza i suoi concittadini (e soprattutto le imprese) ribadendo che le riserve energetiche sono quasi piene e basteranno. Il rischio blackout, però, è reale e può materializzarsi in caso in “colli di bottiglia” nella rete elettrica di qualche Paese vicino. Così Berlino ha stabilito il riavvio di alcune centrali a carbone, anche quelle molto inquinanti a lignite.
Ma dove prendere il carbone ora che quello russo è sotto sanzione? La Germania lo può acquistare in Sud Africa, in Austrialia, in Colombia o altrove, ma le spese e le difficoltà di trasporto via mare sono molto maggiori a quelle del carbone che proveniva via terra dalla vicina Russia. I costi pagati dai tedeschi saranno necessariamente più alti, forse insostenibili. I prossimi mesi saranno decisivi.