Ancora la Catalogna non rinuncia all'idea di poter eleggere un presidente e di poter affidare la gestione della regione ad un proprio governo, non più carica dalla fine dello scorso ottobre in seguito all'applicazione dell'articolo 155.
Sia Barcellona che Madrid sembrano oramai sempre più prigioniere dei rispettivi tatticismi e di prese di posizione che si sono rivelate finora, per fortuna, solo inconcludenti, non causando violenze, a parte qualche piccolo incidente.
Gli indipendentisti, cercando di operare nei confini della legalità costituzionale, non vogliono però rinunciare ad eleggere un candidato da loro indicato. Quelli finora prescelti erano in fuga all'estero (Carles Puigdemont) oppure agli arresti (Jordi Sanchez) oppure in carcere ci sono finiti prima di esser votati (Jordi Turull).
Tribunali internazionali, tribunali nazionali, Nazioni Unite... sempre più istituzioni, nazioni e persone, più che trascorre il tempo, finiscono per essere coinvolte nell'elezione di un governo di una regione di 32mila km² e 7,5 milioni di persone. Come se fosse il centro del mondo. E più che la questione catalana diventa una questione internazionale, più il governo di Madrid ed il suo premier Rajoy si mettono al riparo, facendosi scudo delle decisioni della giustizia spagnola.
Il fronte degli indipendentisti, tra dignità, pragmatismo e senso di responsabilità, lotta per continuare a proporsi agli occhi dei catalani come unito, ma ogni giorno che passa aumenta il rischio di spaccature. Mentre CUP non intende votare altri che Carles Puigdemont, i cui avvocati però desiderano che il suo nome rimanga in ombra in attesa della decisione della giustizia tedesca sulla sua estradizione, ERC e JxCat sono in cerca di una valida alternativa.
Elsa Artadi potrebbe essere la soluzione all'impasse attuale? Lei smentisce, ma si avvicina sempre di più il momento per il presidente del Parlamento, Roger Torrent, di dover indicare un nome che l'assemblea di Barcellona possa eleggere, per evitare che i catalani vadano di nuovo alle urne.