"Prima della crisi economica dovuta alla pandemia i benefici delle nuove misure fiscali si concentravano sui dipendenti con redditi medio-bassi. Il governo Draghi ha scelto di beneficiare le classi medio alte proprio in un periodo in cui abbiamo visto crescere le disuguaglianze nel nostro Paese. Infatti: come si può paragonare la riforma del 2014 con quella del 2022, quando fra l’una e l’altra vi è stata una pandemia globale e una recessione senza precedenti che ha acuito le disuguaglianze e gettato parte della popolazione in uno stato di precarietà, povertà e forte deprivazione? In considerazione di ciò, il contesto attuale avrebbe richiesto un intervento sulle fasce meno abbienti e più in difficoltà, anziché dedicare risorse pubbliche a dare di più a chi già riceve di più.L’attuale riforma premia le fasce di reddito superiori ai 40.000 euro, dedicando alle altre benefici irrisori in termini assoluti e relativi. Ma dopo il varo delle misure in diversi articoli sono apparsi calcoli sui benefici dell’attuale riforma su famiglie mono o bireddito con o senza figli. In molti commenti apparsi sui principali media nazionali, ci si è riferiti alle modifiche Irpef, sommandole agli effetti della decontribuzione (che varrebbe per il solo 2022), e del nuovo Assegno Unico Universale (per i figli fino a 21 anni di età, che sostituisce l’assegno al nucleo familiare e le detrazioni per figli) in termini poco corretti e intellettualmente disonesti".

Così la Cgil ha commentato le scelte del governo Draghi in relazione alla riforma fiscale, uno dei motivi alla base dello sciopero generale dello scorso dicembre. 

Naturalmente le forze di maggioranza sostengono la bontà del loro operato, argomentando che "percentualmente" le risorse della riforma fiscale destinate a supporto delle fasce di reddito più basse sono state enormemente più elevate rispetto a quelle destinate alle fasce di reddito più alte. In realtà è una presa in giro, come fa notare la Cgil.

La maggior parte delle analisi e delle critiche allo sciopero di Cgil e Uil si sono affannate a dimostrare che il sindacato ha sbagliato perché in fondo i redditi medi e bassi ricevono benefici maggiori rispetto ai redditi più elevati. Ma queste posizioni si sono basate su due “stratagemmi” che si possono facilmente contestare. In primo luogo molto spesso l’incidenza del beneficio viene mostrata rispetto al reddito lordo della famiglia, mentre quello che conta per una famiglia è la quota del proprio reddito disponibile (netto) che avrà in più grazie alle riforme del governo. Mostrare l’incidenza percentuale fa sembrare percentualmente più alti i benefici per le classi più basse rispetto alle classi più alte, ma ciò che migliora effettivamente il tenore di vita di una famiglia è l’incremento in termini assoluti, in euro, non certo in percentuale rispetto al reddito passato.L’altro stratagemma comunicativo che va contestato riguarda il fatto che l’incidenza reale della riforma del fisco si deve desumere anche dal numero di famiglie coinvolte all’interno di ciascuna fascia di reddito. Per capire i reali effetti distributivi delle riforme, bisogna rispondere alla seguente domanda: quanti sono i contribuenti che dichiarano un salario pari o minore a 35.000 euro (ovvero i contribuenti che vedranno vantaggi unitariamente più scarsi in numeri assoluti)? Quanti sono i contribuenti che invece hanno un reddito superiore? La risposta, come abbiamo già avuto modo di comunicare nella nostra mobilitazione, è che l’85% dei lavoratori e pensionati ha un reddito che si colloca sotto tale soglia. L’effetto distributivo è quindi concentrato sulle fasce più alte, ma pare che la gran parte dei i media nazionali oltre che il governo non hanno preso in considerazione questa semplice analisi della distribuzione dei contribuenti.

Ma la Cgil è di parte. E allora per avere la riprova che anche il migliore dei governi possibile continua a fare gli interessi dei pochi che guadagnano molto e non quelli dei molti che guadagnano poco, basta ricorrere  all'Upb, l'Ufficio parlamentare di bilancio, che ha riassunto il provvedimento nella seguente immagine

Risultato che la Cgil commenta in questi termini:

L’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) ha recentemente fatto luce sulla distribuzione degli effetti della riforma Irpef, i quali sono particolarmente bassi per il 20% più povero della popolazione. Questa dinamica rischia d'inasprire le disuguaglianze che saranno solo parzialmente attenuate, e per le sole famiglie con figli (e neanche tutte, specie nelle famiglie di lavoratori) da un assegno unico che mostra, comunque, generoso criticità maggiori rispetto  alle aspettative, soprattutto per quanto riguarda la temporaneità della clausola di salvaguardia per i nuclei che con l’introduzione della nuova prestazione andranno a percepire meno di quanto hanno percepito nel 2021. In uno scenario di gravissima crisi economica, con una pandemia che non accenna ad allentare la sua morsa sul tessuto sociale del Paese, ci si sarebbe aspettata una riforma del fisco coraggiosa, attenta alle fasce più vulnerabili della popolazione e progressiva, dove chi ha di più contribuisce in misura maggiore e chi ha di meno riceve in misura maggiore. Ma la verità è che questo intervento non è una riforma, né il primo passo di una riforma. Dobbiamo registrare che il governo ha sprecato l’opportunità d'investire su una seria riforma del Fisco dando tanto a chi ha già tanto e poche briciole a chi stenta ad arrivare a fine mese.

Che la Lega popolare e populista non si sia resa conto di quanto approvato ci sta, viste le "qualità" di chi la guida, mentre che i parlamentari di Forza Italia Viva (crasi tra Forza Italia e Italia Viva, tanto sono lo stesso partito) fossero ben coscienti di quanto stavano approvando e di chi fossero i veri beneficiari della riforma fiscale... è certo! Che dire, invece, delle altre forze politiche di maggioranza che dicono di rappresentare la sinistra... Ritengono veramente che quanto hanno prodotto sia un provvedimento di sinistra e che lo sciopero generale fosse strumentale?