Costituzione e agende politiche: lavorare domani
Non è escluso che qualcuno possa essersi perso per strada tra qualche intreccio tecnico dei capitoli precedenti. Non sarà necessariamente colpa sua, vista la natura molto peculiare di ciò che è stato fin qui argomentato.
Scollegare il fondamento del Paese dal lavoro, quando quest’ultimo è inteso solamente come mezzo di produzione capitalista, non è facile da digerire. Ma è così (per fortuna!). E’ lo spirito della Costituzione; la quale è lungi dall’essere capitalista, come non è ecosocialista, né ha voluto governare altre economie morali o speculative. Al contempo è compatibile con tutte queste economie insieme, poiché come abbiamo osservato nella prima parte di questa monografia la definizione di “lavoratore” interessa chiunque operi per il bene materiale, morale o spirituale della società. Gli artt. 1 e 4 della Costituzione ce lo hanno già spiegato con chiarezza cristallina.
Certi argomenti non possono essere affrontati con eccessiva superficialità, come avviene di continuo nei salotti televisivi o nei proclami propagandistici e demagogici della politica. Ogni singola parola impressa nella nostra Carta costituzionale ha richiesto studi, ricerche, commissioni ad hoc, lunghi dibattiti durati per un anno e mezzo, e nell’insieme migliaia di pagine di verbali che riportano proposte, spiegazioni, obiezioni e infine le soluzioni definitive delle sedute dei 556 deputati che presero parte a questo piccolo miracolo intellettuale, e che infine ha preso forma in quelle poche parole che stanno in appena 35 pagine.
E principalmente a loro, ai padri costituenti, che abbiamo chiesto spiegazioni per poter interpretare correttamente questa parte di Costituzione di cui abbiamo parlato. Ci hanno spiegato perché hanno scelto quelle parole e quelle frasi, cosa volessero intendere esattamente, parlandoci anche del loro tempo e di come vedevano il futuro, e nel nostro caso non pare abbiano lasciato spazio a dubbi. L’odierna Corte Costituzionale fa spesso riferimento ai verbali dei lavori preparatori quando deve decidere sulla legittimità di norme in possibile contrasto con la Costituzione. Così come gli organi giurisdizionali che sollevano il possibile conflitto.
Tecnicamente quel che abbiamo fato fin qui è seguire un processo di esegesi orientato all’interpretazione autentica (a lettura sistematica), ben oltre ciò che ispira l’art. 12 delle preleggi: «Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore», perché i temi costituzionali vanno appunto ben oltre.
Ma ricorderete che abbiamo parlato anche del principio di ragionevolezza, al quale adesso dobbiamo appaiare l’interpretazione giuridica, che è propria di un testo Costituzionale. E non vi risulti paradossale se dico che tale interpretazione può discostarsi leggermente da quella autentica.
Ad OGGI, l’Italia non si è dotata di organizzazione, strumenti e risorse adeguate per poter funzionare in armonia con le diverse economie possibili. Per esempio con l’economia morale (ndr, termine coniato da E. P. Thompson), la quale valorizzerebbe un universo vastissimo di attività: l’autoproduzione; la cultura “Maker” di origine americana o i FabLab italiani; la ricerca indipendente; il mutuo sostegno. Attività – insensatamente – confinate in comparti stagni come il volontariato, gli hobby, i “doveri” familiari, e via discorrendo. Ovvero con l’ecosocialismo, anch’esso pregno di esempi e modelli che valorizzano quelle stesse attività. Escludendo la loro componente ideologica e di “decrescita felice”, per non scontentare nessuno.
Lo Stato italiano è solo capitalista, non bada a queste altre economie, in quell’OGGI che diventa così la chiave dell’interpretazione giuridica, che pur ammettendo quei diritti fondamentali come volontà autentica dei padri costituenti, deve fare i conti con i limiti di risorse e organizzazione che il legislatore ha determinato con le sue scelte in quasi ottant’anni di pessimi governi. Non sempre così male, ma certamente non benissimo.
Ma per fare in modo che il cittadino si realizzi pienamente a rigore di Costituzione non c’è il minimo dubbio che il modello capitalista debba essere indubbiamente e urgentemente ridimensionato (eg: tassazione progressiva molto serrata e seria, limite alla ricchezza cumulabile).
E non possiamo chiedere questa ragione alla Corte Costituzionale, proprio per i limiti dell’interpretazione giuridica appena visti. I nostri unici rimedi sono le scelte elettorali che compiamo e l’azione critica e di protesta civica che non va mai abbandonata. Se tali cose saranno ben fatte, nel medio-lungo termine ci condurranno in maniera meno traumatica all’obiettivo lungimirante della nostra Costituzione. La maniera traumatica consiste invece nelle scelte sbagliate, che oltre ad allungare notevolmente i tempi creeranno indubbiamente disordini sociali, degrado e pericoli per la sicurezza e l’incolumità personale. Poiché la tecnologia e il progresso sono inarrestabili, e quei processi di annientamento che riguardano ANCHE l’attuale lavoro salariato (molto del quale già inutile oggi) produrranno molta miseria, rabbia e povertà, in un sistema esclusivamente capitalista.
Non è solo l’Italia a trovarsi in questa impasse transizionale, ma ci stiamo distinguendo dagli altri per non fare assolutamente nulla, né per tutelare i nostri interessi (capitalistici stessi) dal costante decadimento del “lavoro salariato”, né per avvicendarci al nostro dettato costituzionale che l’ha straordinariamente previsto. Ad altre latitudini e longitudini sono sempre più i paesi che sperimentano l’avvicendamento del capitalismo alle altre economie possibili, in particolare attraverso il Reddito di Base Universale e Incondizionato, di cui ho già parlato sommariamente in altri articoli.
Questo, piaccia o meno, è il come lavoreremo domani. Dipende esclusivamente da noi in quanto tempo farlo accadere e con quali eventuali traumi, anche postumi.
Scopriremo la prossima volta, nel capitolo conclusivo, il come lavoriamo oggi. Che non è una vera scoperta ma il momento clou per capire se l’agenda politica sta trascurando anche i vincoli costituzionali che tutelano gli odierni lavoratori salariati, autonomi o imprenditori che siano. E se possiamo rimediare.
Base foto: Skywalter da Pixabay
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