Parliamo di fede, che per i politici italiani è un po' come l'ombrello: lo tirano fuori solo quando piove. Quando serve. Quando si deve andare in televisione e fare appello alla “tradizione cristiana”, magari con una mano sul petto e un occhio ai sondaggi. Il rapporto tra i nostri rappresentanti e la fede è di quelli vaghi, incerti, pieni di pie intenzioni ma scarse azioni concrete. Tutti cristiani, almeno a parole, ma nei fatti… beh, nei fatti la fede è una comparsa di cui si ricordano solo nei momenti elettorali.

 

Fede di comodo

La prima cosa che salta all’occhio è la strumentalità. Crocifissi e Bibbia diventano simboli da sventolare a destra e a sinistra (ma soprattutto a destra), utili per galvanizzare gli elettori di una certa età, quelli che non si fidano dei politici “laici”. Si vedono ancora certi leader farsi il segno della croce davanti alle telecamere, baciando rosari come se fossero talismani elettorali. Già nel 1955, il grande teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer aveva detto: “La fede non è un paravento dietro cui nascondersi, ma una forza che ti costringe a guardare in faccia la realtà”. Ma ai politici italiani, la fede come forza morale non interessa: per loro è solo scenografia.

E come non ricordare quella volta che Silvio Berlusconi, durante una visita ufficiale in Israele, si definì "il miglior amico del popolo ebraico", salvo poi farsi il segno della croce durante la conferenza stampa? Doppio salto mortale teologico. Ma l’importante era non scontentare nessuno. “Gli italiani sono pronti a credere in tutto, purché non li si costringa a pensarci troppo”, scriveva Umberto Eco, sintetizzando l’ambiguità di un popolo che vive la fede con la stessa superficialità con cui segue una partita di calcio.

 

La fede come arma politica

Oggi, la politica italiana si gioca anche sui simboli religiosi. C’è chi, come Matteo Salvini, ha fatto della fede un brand, una sorta di crociata moderna contro il relativismo e l'immigrazione. Con il rosario stretto tra le mani, Salvini si presenta come il difensore dei "valori cristiani", nonostante, come qualcuno gli ha ricordato, l’unico Vangelo che sembra conoscere sia quello secondo sondaggi. Come scriveva il filosofo tedesco Max Weber: “La religione diventa una potenza pericolosa quando diventa strumento del potere politico”. Salvini ha colto al volo questo insegnamento, usando la fede come clava contro avversari e nemici immaginari.

Ma non è certo l’unico. Giorgia Meloni ha più volte dichiarato la sua fede cattolica, pur mantenendo una certa distanza da cerimonie ostentate. “Dio, patria e famiglia”, è lo slogan che riecheggia nelle piazze. Ma, come sottolinea il teologo Vito Mancuso, “la fede non può essere ridotta a un vessillo di appartenenza ideologica”. La religione, per i politici italiani, è come una bandiera: la si sventola quando fa comodo, ma poi si ripone nel cassetto fino alla prossima occasione.

 

La fede e la coerenza (che manca)

Ma se andiamo oltre gli slogan, quanti politici italiani si comportano davvero da credenti? Guardiamo ai fatti: le condotte personali, le inchieste giudiziarie, la corruzione dilagante. Le parole di San Paolo, “la fede senza le opere è morta” (Lettera di Giacomo 2:26), sembrano non aver mai raggiunto Montecitorio. Se la Bibbia ci insegna qualcosa, è che non basta dichiararsi cristiani: bisogna vivere secondo quei valori. Ma quanti dei nostri politici possono dire di farlo?

Ricordiamo l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, che in pubblico si professava fervente cattolico, mentre in privato veniva coinvolto in inchieste di malaffare. O l’incredibile caso di Francesco Cossiga, il “picconatore”, che negli ultimi anni di vita dichiarava di recitare ogni giorno il rosario. Cossiga era sicuramente un personaggio complesso, e la sua fede, almeno quella finale, sembrava sincera. Ma viene da chiedersi se non ci sia stato anche un tentativo di redimere, post factum, una vita politica fatta di ombre e manovre oscure. Come osservava il filosofo francese Blaise Pascal: “Gli uomini non fanno mai il male così completamente e con tanto entusiasmo come quando lo fanno per motivi religiosi”.

 

I cattolici della domenica

Il punto è che la fede, per i politici italiani, è spesso un fatto puramente estetico. Si tirano in ballo i “valori cristiani” per giustificare politiche securitarie o per opporsi ai diritti civili, ma poi tutto finisce lì. “I cattolici italiani sono i migliori nel rispettare le tradizioni e i peggiori nel mettere in pratica il Vangelo”, diceva con tagliente ironia lo scrittore Ignazio Silone. Ed è vero: la politica italiana è piena di cattolici che amano fare sermoni, ma che alla prima tentazione si dimenticano di essere cristiani.

Pensiamo a quanti leader si sono espressi contro l’aborto, il divorzio, il matrimonio tra persone dello stesso sesso, sempre in nome della “difesa dei valori cristiani”. Ma quando poi si tratta di comportarsi secondo quei valori, magari aiutando i più poveri, accogliendo i migranti o contrastando la corruzione, ecco che improvvisamente la Bibbia diventa un testo un po’ meno rilevante. Come scriveva il cardinale Carlo Maria Martini: “La politica dovrebbe essere lo spazio dove si incarnano i valori della giustizia e della solidarietà, ma in Italia la fede serve solo a costruire muri, non a tendere la mano”.

 

La fede come specchio delle debolezze

I politici italiani, in fondo, sono lo specchio del popolo che li vota. Un popolo che si professa cristiano, ma che pratica la religione in modo distratto e superficiale, limitandosi a qualche segno di croce e a una messa natalizia. Come scriveva lo storico francese Jules Michelet: “Il cattolicesimo italiano è un gigantesco compromesso tra il sacro e il profano”. E così è anche la fede dei nostri leader: un compromesso tra ciò che si dice e ciò che si fa, tra il Vangelo predicato e quello vissuto.

La fede, per la politica italiana, è un abito che si indossa solo nelle occasioni speciali. E se in campagna elettorale si parla di crocifissi e di radici cristiane, subito dopo la vittoria quelle stesse radici vengono dimenticate. “Dio è una scusa che usiamo per fare il nostro comodo”, diceva il grande scrittore siciliano Leonardo Sciascia. Forse, mai parole furono più vere per descrivere la religione come viene vissuta dalla classe politica italiana.