Come da tradizione, anche quest’anno il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha rivolto agli italiani il suo discorso di fine anno, un appuntamento che dal 1946 rappresenta un momento di riflessione collettiva. Seguendo la scia dei suoi predecessori, Mattarella ha toccato temi di cruciale importanza per il Paese e per il contesto internazionale: pace e conflitti, violenza contro le donne, sanità pubblica, cambiamenti climatici, disuguaglianze economiche, giovani e lavoro, e libertà di informazione.
Nonostante la profondità e l’urgenza delle questioni affrontate, il rischio di lasciare queste argomentazioni nello spazio etereo della retorica è alto. L’Italia, così come il mondo intero, si trova oggi a fronteggiare sfide di straordinaria complessità, che richiedono interventi concreti più che semplici parole.
Mattarella ha sottolineato l’urgenza di costruire una pace giusta, citando esplicitamente i conflitti in Ucraina e Medio Oriente. Questi teatri di guerra, simbolo di un mondo frammentato, richiedono un impegno multilaterale che, però, l’Italia fatica a concretizzare. L’invito alla cooperazione internazionale, pur importante, sembra distante dalle azioni di un Paese che spesso si trova a navigare tra vincoli economici e una posizione geopolitica complessa.
Tra i temi centrali del discorso, il Presidente ha affrontato le difficoltà della sanità pubblica e dell’istruzione, due settori che incarnano le disfunzioni del sistema italiano. Le lunghe liste d’attesa, la carenza di personale sanitario e le infrastrutture scolastiche obsolete sono problemi ormai cronici, che nemmeno la pandemia ha spinto a risolvere in modo strutturale. Sebbene Mattarella abbia riconosciuto queste criticità, manca ancora una chiara strategia per affrontarle. La conseguenza è un’ulteriore disillusione tra i cittadini, che vedono un divario crescente tra bisogni reali e risposte istituzionali.
Un altro tema centrale del discorso è stato il richiamo alla partecipazione democratica. Con un astensionismo che ha superato il 50%, l’Italia vive una crisi profonda di fiducia verso le istituzioni. Il Presidente ha, quindi, esortato i cittadini a non cedere alla disillusione, ma il richiamo, seppur nobile, rischia di rimanere inefficace senza interventi concreti che rafforzino il legame tra politica e cittadinanza, due realtà troppo distanti tra di loro.
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, pur nelle sue parole sempre misurate e nobili, rischia di essere visto come un simbolo di questa distanza, se il suo discorso non si traduce in azioni concrete e incisive da parte del Governo e del Parlamento. In effetti, la forza del messaggio istituzionale non può prescindere da una risposta tangibile alle sfide quotidiane che i cittadini affrontano.
Un aspetto cruciale di questa alienazione è la percezione, sempre più diffusa, di un’istituzione che, pur essendo il fondamento della nostra democrazia, appare distante dalla realtà sociale ed economica vissuta dalla maggior parte della popolazione. Le parole di Mattarella, se non accompagnate da azioni decisive, rischiano di rimanere nell’ambito del linguaggio istituzionale, che ha ormai perso la sua capacità di incantare o di rassicurare chi vive un’esistenza quotidiana fatta di difficoltà e disagi. Il discorso diventa, così, un mero esercizio retorico, privo di quell’incisività che è necessaria a contrastare la disaffezione crescente verso le istituzioni.
La critica che il Presidente viva “nella bambagia del Quirinale” non è solo una boutade polemica, ma un simbolo di una frattura molto più ampia, che segna il divario tra il potere istituzionale e la vita reale dei cittadini. Questa frattura non è limitata al Presidente, ma coinvolge tutta la classe politica, il Governo e il Parlamento. La difficoltà nel comprendere e affrontare le problematiche quotidiane delle persone, come la disoccupazione, la povertà, l’accesso ai servizi pubblici, e la crescente disillusione verso il sistema politico, sono tutte questioni che non possono più essere rimandate.
In definitiva, il problema non risiede solo nella consapevolezza del distacco, ma nella capacità delle istituzioni di colmarlo, con politiche che rispondano alle necessità concrete della popolazione. Le parole di Mattarella, pur nobili, rischiano di essere un altro esempio di un sistema che, pur ben intenzionato, continua a fallire nel rispondere efficacemente alle esigenze dei cittadini, perpetuando così il circolo vizioso della disaffezione e della frustrazione.
Tuttavia, va ricordato che il Presidente della Repubblica ha un ruolo prevalentemente simbolico e di garanzia costituzionale. Le decisioni operative spettano al Parlamento e al Governo. Tuttavia, le parole di Mattarella assumono un peso morale significativo. Esse rappresentano una bussola per il Paese, ma il rischio è che rimangano meri enunciati senza una traduzione concreta.
In un contesto di instabilità globale e interna, l’Italia ha bisogno di meno retorica e più pragmatismo. I temi evidenziati da Mattarella – pace, equità sociale, lotta alle disuguaglianze e partecipazione democratica – sono pilastri imprescindibili per il futuro, ma richiedono un impegno congiunto di tutte le forze politiche e sociali per trasformarsi in realtà.
Solo attraverso un cambio di paradigma, che metta al centro dell’azione politica interventi concreti a favore dei cittadini per migliorarne le condizioni di vita, le istituzioni potranno recuperare la fiducia dei cittadini.
Il discorso di fine anno di Sergio Mattarella, pur ricco di spunti e valori condivisibili, evidenzia le contraddizioni del nostro tempo: un Paese che anela al cambiamento ma che fatica a realizzarlo. La sfida delle istituzioni è colmare questo divario, dimostrando che la politica può essere uno strumento di reale trasformazione.
Solo così le parole che ogni 31 dicembre risuonano nelle case degli italiani potranno riacquistare forza e significato, diventando il motore di un cambiamento autentico e tangibile, altrimenti resteranno soltanto una demagogica chiacchierata a reti unificate!