L’umanità tende al disordine perché attraverso esso può rimettere ordine. Svolgiamo la vita come una costante partita a carte: prima mescoliamo le carte e poi le riordiniamo per rispettare le regole del gioco, provando a vincere. Ma cambiamo spesso gioco, per scoprire quello che più ci attrae o ci fa vincere.
Alcuni non lo fanno. Vivono in un ordine costante senza mai rimescolare le carte; o meglio, non lasciano che qualcuno o la vita stessa le rimescoli e crei quel disordine necessario a trovare nuovi sistemi per riordinare. Come c’è anche il finto disordine, che è sempre un ordine costante poiché mero riposizionamento. Il concetto gattopardesco del cambiare tutto per non cambiare nulla.
Guardo la mia scrivania. Sta nuovamente attraversando un brutto periodo; come del resto tutto lo studio. Si accumulano carte qua e là, lettere, pacchetti vari, scontrini, libri e libretti tratti e non riposti, oggetti di ogni genere. Anche qualcosa da riparare, lì, sull’altra scrivania, nell’angolo che funge anche da laboratorio. C’è poi varia roba da archiviare, e miei vecchi occhiali rotti.
Per alcuni questo è il momento in cui si inizia ad avvertire un lieve disagio, se capitasse di doversi intrattenere con qualcuno. Quando si ospita, l’esigenza non dovrebbe essere quella di mostrarsi ordinati per apparire diligenti e affidabili, ma lo si dovrebbe fare principalmente per rispetto della persona che si ospita. Avete presente la tipica frase: «Scusa il disordine!». Ecco. A me, per esempio, piacerebbe evitarla. Però, ahimé, è quella che pronuncio più spesso.
Guai a lasciar entrare qualcuno per risistemare il proprio tempietto di lavoro, riflessione, vita. Del resto, lasceremmo mai che qualcuno entrasse nella nostra testa per mettere ordine a suo modo? Lasciarsi aiutare va bene, a volte è anche indispensabile se abbiamo creato troppo caos, ma naturalmente il riordino deve poi rispettare i nostri canoni.
I “disordini ordinati” non resistono per molto. Quando tutto è un po’ caotico ma rispetta un ordine codificato, per cui si riesce comunque a identificare ogni cosa. Non è mai del tutto vero: capiterà, presto o tardi, di non riuscire a raccapezzarsi più. E toccherà riordinare.
Il momento del riordino è una sorta di cerimonia religiosa.
La prima cosa su cui si riflette è: «Perché è successo di nuovo?». L’ultima volta sembrava che il sistema fosse quello più efficiente ed efficace per durare nel tempo. Si credeva, finalmente, di aver trovato la via per evitare di ricreare il disordine, o perlomeno di riuscire a mantenerlo sotto controllo. Quel minimo e normale disordine, insomma.
Poi si comincia a pensare ai piccoli cambiamenti da fare per conseguire quell’agognato ordine che possa finalmente resistere.
Ma non succederà mai, per fortuna! Il disordine tornerà puntuale con il suo grado a misurare il dinamismo della vita; e non quel dinamismo di movimento e interazione con gli altri, che può e deve anch’esso avere queste caratteristiche, ma principalmente quello dell’interazione con sé stessi, attraverso il quale si agitano pensieri e progetti creando il caos nella routine.
Ogni cosa va fuori posto perché così noi possiamo rimetterla a posto, e compiere un passo in più verso quello che sarà il suo posto definitivo. Tanto più sarà il ripetersi del disordine, tanto migliore sarà l’ultimo sistema d’ordine che raggiungeremo durante il cammino.
Non opponiamoci al disordine. Anzi, creiamolo!