Il mese di agosto si era concluso per i vertici ucraini con le destituzioni nell’esercito seguite alla caduta del primo F-16. Poi settembre è cominciato con le dimissioni - e in alcuni casi con licenziamenti diretti - degli esponenti del governo e degli enti statali. E si è trattato di quasi la metà del consiglio dei ministri, con soggetti importanti come il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba.
Oltre a lui se ne sono andati il Ministro dell’Industria, quello della Giustizia, la viceministro per l’Integrazione euroatlantica e altri ancora. Occorre citare pure i capi del Fondo del Patrimonio statale e di Ukrenergo, l’ente che opera la rete elettrica nazionale, attualmente di importanza cruciale.
I modi in cui ciò è avvenuto e i nomi dei sostituti fanno pensare, più che a un “rimpasto”, a una manovra di Zelensky per circondarsi di fedelissimi in vista della resa dei conti.
Il presidente ha spiegato che necessitava di “nuove energie” per continuare ad approvvigionarsi dell’assistenza internazionale e per tenere in piedi il Paese. Tuttavia, come fanno notare anche sulla stampa occidentale e mainstream, si nota l’intervento pesante del capo dello staff presidenziale Andriy Yermak.
Tempo fa il Washington Post parlava del potere eccessivo accumulato da questo personaggio, salito in auge grazie alla sua amicizia con Zelensky e oggi arbitro dei destini del governo. Almeno due dei nuovi ministri provengono proprio dalla sua squadra.
Yulia Klymenko del partito “Holos” dice che non vi è alcuna “faccia nuova”, ma di fatto sono rimasti al potere sempre gli stessi. Il deputato di opposizione Dmytro Razumkov afferma che le decisioni principali saranno ancora prese dall’ufficio del presidente, come sempre.
L’ex vicepremier Oleh Rybachuk, che oggi gestisce la OGN Centre of United Action, evidenzia la responsabilità di Yermak nella scelta delle pedine da piazzare nei posti chiave.