Proseguendo dopo il precedente capitolo, in cui abbiamo affrontato l’argomento della giustizia e delle leggi, passiamo ora ad un altra questione di primaria importanza nell’ordine che personalmente intendo: l’istruzione scolastica.

Il pilastro dell’esistenza di una razza senziente come quella umana non può che essere uno solo: la sapienza. Badate a non intenderlo come parolone insipido o inarrivabile: è corretto rispettare il nobile significato del termine ma non giudicarlo alieno o fuori portata, perché esso è latore di cose semplici: istruzione, studio, apprendimento, sapere.

La sapienza non è su tutto, logicamente; ma deve esserlo sulle cose generali, necessarie e imprescindibili, che si usa chiamare cultura di base. Poi su quelle di proprio interesse settoriale o specialistico; e infine su qualunque materia appassioni per puro diletto o per spirito di ricerca, confronto, crescita personale.

E’ possibile fare a meno di questi due ultimi aspetti della sapienza, ma non sarà mai possibile vivere senza cultura di base. E’ pur vero che tanti lo fanno, tantissimi, addirittura la maggioranza, ma vivono male e avvelenano anche l’esistenza dei loro simili.

Ci si illude che la cultura di base si acquisisca a scuola, e che sia anche sufficiente finire le superiori, con un diploma o la maturità. Ma la scuola è attualmente incapace di formare gli individui: non ha risorse, economie, personale docente adeguatamente formato. E’ un generale disastro! Con poche eccezioni.

Se qualcuno s’indignasse per questo mio giudizio lapidario, prima di inalberarsi sul serio consideri che questo non è propriamente un giudizio ma una constatazione basata su statistiche che rilevano il grado di istruzione medio in Italia e altrove, nonché una nozione di comune esperienza che risulterà senz’altro a chiunque s’interessi all’informazione, al dibattito e al confronto, de visu o social che sia. E riscontra comunemente: analfabetismo, ottusaggine, carenze culturali gravi, concetti illogici o ingenui, incoerenze argomentative, effetto Dunning-Kruger, e così via.

Nella scuola non è raro ipotizzare che la colpa di tutto ciò sia degli studenti educati male dai genitori, scatenando disamore per l’istruzione e irriverenza verso i docenti, pur ammettendo l’inadeguatezza strutturale della scuola stessa. Ma la prima rimane comunque l’opinione più consolidata, o per meglio dire: un comodo capro espiatorio. D’altra parte è vero che l’educazione genitoriale langue e appesta le nuove generazioni, dimenticando però che i genitori sono anch’essi provenienti dallo stesso sistema scolastico ed educazionale.

Invero, la scuola e i genitori di un tempo si incensano per la loro maggior collaborazione, distinzione di ruoli, rispetto, e rigore del sistema in generale. Ma se sono venuti fuori orrende classi dirigenti e i genitori ai quali oggi dare la colpa di tutto, allora anche quel sistema era già malato. E’ logica elementare.

A un certo punto, allora, occorre fermarsi e riflettere. Però non vale la pena sprecare energie per individuare il momento preciso in cui qualcosa sarebbe andato storto. Esiste una questione più semplice e immediata con cui prendersela: le inadeguatezze strutturali della scuola. Se si ammettono perché non indagarle per prime e capire quanto possano essere responsabili dello sfacelo culturale ed etico dei nostri tempi, fino magari a poter recuperare quelle imperfezioni familiari che invece si proporrebbero come principali responsabili.

Si tratta di applicare il Rasoio di Occam ed evitare ragionamenti e ricerche complesse laddove esiste già un problema chiaro e identificabile su cui concentrarsi: le benedette inadeguatezze strutturali!

Abbozziamo un ragionamento con il conforto di alcuni pensieri e aforismi di illustri personaggi che hanno fatto la storia dei principi dell’educazione e dell’istruzione, ovvero d’intellettuali e scienziati di alto profilo umanistico. Non dobbiamo essere bravi solo a postarli sui nostri profili social, ma dovremmo anche crederci (si spera). Altrimenti criticarli con cognizione di causa e argomenti contrari altrettanto pregevoli.

Vediamo un po’.

La Montessori osava dire che per insegnare bisogna saper emozionare, rifuggendo da chi pensa che tramite il divertimento non s’impara nulla. Aggiungeva anche che gli strumenti di correzione, coercizione, forza, punizione e premio, sono completamente fallimentari e portano a forgiare soggetti fondamentalmente egoisti o violenti. Ma l’intero pensiero della Montessori si racchiudeva nella frase “aiutiamoli a fare da soli”.

Il famoso metodo Montessori, basato sull’apprendimento spontaneo in ambiente libero e a misura di studente non esiste nella scuola odierna, salvo alcune eccezioni - comunque non predominanti - che si trovano perlopiù in paesi anglosassoni e nord europei. Il modello globalmente usato è invece altamente incompatibile e deleterio con tali principi ed è basato sul comportamentismo; ne scrissi un articolo proprio di recente che riporta al suo concetto base di “condizionamento operante”. Nulla di più sbagliato e devastante per la nostra scuola e l’educazione in generale.

Per amor del vero, anche in Italia abbiamo circa duecento istituti di scuola materna che usano il metodo Montessori. Un nonnulla, talvolta d’elite, e che già si svuota dalla primaria in poi e finisce nel caos totale delle medie e superiori. Perché in questi casi non abbiamo nemmeno il “nonnulla”.

Era d’uopo introdurre lo stato dell’arte nella formazione culturale dell’individuo facendo primo cenno a Maria Montessori, che non è stata solo un’eccelsa educatrice e pedagogista, ma era anche una filosofa e un medico specializzato in neuropsichiatria infantile. Una scienziata del settore a tutto tondo, insomma, che oltre a non essere stata mai smentita o validamente criticata, vanta oggi diverse organizzazioni a livello mondiale che ne divulgano metodo e insegnamenti. Tradotti in quelle (purtroppo) poche strutture che riscuotono completo successo: senza se e senza ma.

Ma la Montessori non è stata mica l’unica. In un ipotetico quartetto di insegnanti fantastici vanno almeno celebrati anche don Lorenzo Milani, Alberto Manzi e Mario Lodi (e sto facendo torto a numerosi altri). Proprio Lodi ricordava come la scuola dovrebbe essere il luogo dove si entra competitivi e si esce cooperativi. Si tratta di una delle più potenti affermazioni che un educatore possa mai poter fare ai nostri tempi, e Mario Lodi è scomparso solo nel 2014. Per non parlare della valutazione numerica pesantemente bocciata da tutti e quattro, come in effetti insegna il ramo pedagogico della docimologia. Dare voti è privo di senso e di senno, se a monte manca un metodo corretto di insegnamento e non è praticato l’imprescindibile sistema di autovalutazione.

Una volta qualcuno disse che per insegnare il latino a Giovannino bisogna soprattutto conoscere Giovannino. Si attribuisce addirittura a Rousseau, anche se io non conosco opere o circostanze in cui possa averla detta. Il punto è che la frase è una pura constatazione, se ci riconnettiamo a quanto abbiamo detto sin qui. Peraltro anche Einstein, vulcanico non solo come fisico, parrebbe una volta aver affermato: «Se si giudica un pesce dalla sua capacità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà l'intera vita a credersi stupido».

Tutte ovvietà, giusto? Ma sono ovvietà che non ritroviamo minimamente nel modello d’istruzione della nostra scuola.

Da qui in avanti ci sarebbe da discutere una pletora di riforme che interessano le materie insegnate, la loro priorità, i tempi, i modi in cui si passa il tempo a studiare, le risorse e gli strumenti degli studenti, la motivazione e preparazione dei docenti, e davvero tanto altro. Ma invece ci fermiamo all’imprescindibile priorità fin qui discussa. Perché per prima cosa, a valle di ogni altro intervento, occorre un modello educativo diverso dall’odierno e inaccettabile condizionamento operante. E la Montessori, con più largamente il quartetto di educatori fantastici (come mi piace chiamarlo), o ancor più largamente l’intero scibile psico-pedagogico, hanno aperto da tempo un profondo e proficuo solco.

Questa è dunque la riforma principe dalla quale muovere gli eventuali e successivi aggiustamenti, ribadendo l’incipit di questo articolo «L’istruzione non è la preparazione alla vita, l’istruzione è la vita stessa», usando stavolta le parole di un altro gigante della pedagogia quale è stato John Dewey.

Nel prossimo capitolo affronteremo il tema della sanità pubblica.


📸 base foto: DALL-E (IA), su input “Riforme e società stile Banksy”, 24/04/2023