PARTE PRIMA

La materia Giustizia viene subito dopo la comunicazione di cui ci siamo occupati nello scorso capitolo, quale origine di classi dirigenti che poi non si rivelano in grado di governare e, soprattutto, provvedere alle necessarie riforme strutturali.

Perché prima la Giustizia anziché la Sanità o la Scuola?

La ragione è simile a quella argomentata la volta scorsa. In questo caso la Giustizia rappresenta il principio di legalità per discutere (comunicazione) senza violare l’onestà del confronto e vincolati dai principi della nazione (Costituzione). Questi ultimi vanno contemperati con giudizio tra loro e sui parametri di equità costituenti carburante per il cosiddetto “ascensore sociale”.

In parole povere la Giustizia è garante del rispetto delle regole che devono essere conosciute e seguite per progettare, implementare e gestire - al di sotto di esse - qualunque soluzione per il paese, come per la sanità, la scuola, l’economia, e ogni altra materia fondamentale. Una Giustizia che non funziona bene è anche sinonimo di burocrazia lenta, inefficiente, costosa, e lo capiremo tra poco.

A complemento, ma non di minor importanza, va reputata la necessità per il cittadino di potersi avvalere della Giustizia nella maniera più informata e autonoma possibile. Ciò consente non solo di potere verificare e convalidare l’attività governativa su base legale, ma anche di poter conoscere e attivare in maniera intelligente gli strumenti a propria tutela nella consueta vita sociale, d’impresa e politica.

Esistono quattro grandi ostacoli a tutto questo (in ordine rigoroso):

  1. L’ipertrofia normativa, aggravata da linguaggio ambiguo, cifrato e sovrapposto tra norme, con conseguente incertezza del diritto, lentezza burocratica e ostracismi insormontabili;

  2. L’assenza di fonti divulgative facilmente consultabili sulle norme vigenti e sulla giurisprudenza;

  3. Gli alti costi di accesso alla Giustizia, che la rende “diseguale per tutti”;

  4. La misconoscenza dei propri diritti e doveri.

Il corollario è anche di ordine economico: circa 57,2 miliardi, pari a quasi il 3% del PIL ovvero circa un’intera finanziaria e mezza, spesi dalle imprese italiane a causa del cattivo funzionamento della burocrazia (fonte: CGIA Mestre, dal rapporto di The European House Ambrosetti). Questa è la parte disfunzionale che ci riguarda, ma solo per curiosità diciamo anche che il costo complessivo delle inefficienze burocratiche ammonta a circa 250 miliardi di euro l’anno. La cifra è impressionante.

Non abbiamo il dato della spesa che grava sui cittadini per le medesime disfunzioni a livello privato, nonché per il mancato ricorso alla Giustizia o per errori e inefficienze della stessa. Penso sia verosimile ritenere che una riforma strutturale “perfetta” permetterebbe un risparmio pari a circa due leggi di bilancio; e poiché la perfezione non esiste, diciamo pure che ci si può accontentare di una sola.

Non è ancora tempo per soffermarsi sulle questioni economiche, ma si è comunque inteso cosa significherebbe questa cosa: il governo avrebbe già i soldi in cassa e non dovrebbe rubarli ai poveri, potendo anche diminuire drasticamente e realmente la pressione fiscale sui redditi bassi. E l’ascensore sociale prenderebbe già quota. Chiusa la parentesi.

Riguardo agli ostacoli, trattiamoli ora uno per uno.

1.1 I problemi dell’ipertrofia normativa

A livello mondiale l’Italia è uno dei paesi con la maggiore pressione normativa esistente. Le stime sono tante ma nessuna di loro permette di risalire alla fonte. Su Pagella Politica del 14/12/2022 si riporta la stima dell’attuale ministro della Giustizia, Nordio, secondo il quale sarebbe pari a 250 mila leggi. Pagella Politica ricostruisce la possibile fonte di Nordio nella banca dati Normattiva, una delle poche perle nel mare delle mancanze patologiche. Ma considerando che molte migliaia di atti sono stati abrogati da precedenti tentativi politici di mettere ordine, la stima si “ridurrebbe” a circa  160 mila atti normativi (tra quelli nazionali e regionali), di cui 33 mila sono ancora “Regi Decreti”.

Sono numeri drammatici; specie se comparati alla Francia (7.000), alla Germania (5.500) o al Regno Unito (3.000). E se anche i numeri di questi e altri paesi fossero sottostimati, la forbice risulterebbe ugualmente impressionante. In proposito Tacito diceva: «Corruptissima re publica plurimae leges», significando che il proliferare delle leggi è termometro di quanto sia corrotto un paese.

Ad ogni modo, il danno più evidente si osserva nello strapotere acquisito dagli interpreti: la burocrazia giustifica la sua inefficienza e iniquità nella complessità normativa, liberata dalle proprie erronee applicazioni della legge (e Nordio starebbe anche provando a deresponsabilizzare ulteriormente i burocrati) e nei rallentamenti di ogni pratica per non sbagliare; i giudici, dal canto loro, vivono un comodissimo caos che permette di applicare e disapplicare norme ribaltando qualunque giudizio e favorendo di riflesso le iniquità e inefficienze burocratiche. Niklas Luhmann, famoso per la sua teoria sui sistemi sociali, può confortare tale sintesi aggiungendo l’ulteriore patologia che discende da una ignorantia legis ormai all’apice «non essendo più il cittadino in grado di sapere quali sono le leggi esistenti e in ogni caso di coglierne la portata normativa, e affermando che la tacita e deliberata ignoranza della legge è una pratica inevitabile anche presso le corti giudiziarie». Secondo Luhmann ignorare in tutto o in parte le leggi sembra ormai divenuta una condizione necessaria per emettere sentenze (Gesellschaftliche und politische Bedingungen des Rechtsstaates, in Politische Planung, Opladen 1971).

Come se tutto questo non bastasse interviene anche la forma linguistica adoperata dal nostro legislatore, adoperandosi per rendere i testi delle norme ambigui, mai chiari, criptici, e se possibile privi di senso compiuto. Quest’altro effetto è anche dovuto all’eccessiva legiferazione per mezzo di DL (Decreti Leggi), che necessitano di conversione in tempi strettissimi e con numerosi rimandi a futuri decreti attuativi. Dovrebbero essere limitati alle urgenze (art. 77 Cost.), ma la politica ha scoperto che possono essere utili per far meglio alcuni dei loro “capolavori”. E riaffiora alla mente l’analogia delle varie inchieste sulle “somme urgenze” che coinvolsero diversi comuni italiani nei primi anni ‘90 dell’era “mani pulite”.

1.2 Possibili soluzioni sull’ipertrofia normativa

Sia alla Camera (dal 1997), e sia al Senato (dal 2022), esistono già i “Comitati per la legislazione”. Essendo relativamente giovani, specie quello al Senato costituito solo lo scorso anno, non è chiaro quanto abbiano contribuito alla qualità globale delle norme. Su Openpolis c’è qualche dato da analizzare, ma in ogni caso la competenza e incisività di tali organi risultano ridotte e vanno senz’altro potenziate prevedendo anche delle figure tecniche, perché non sembra affatto che siano stati in grado di migliorare tanti recenti atti normativi emanati in forma di DL poi convertiti. E’ sufficiente fare una ricerca su Google per rintracciare le innumerevoli leggi poco chiare e la loro pessima qualità, assieme ai danni che hanno fatto, solo nell’ultimo ventennio.

Questi Comitati, resi efficienti, possono essere certamente una buona risposta nel controllo qualità e chiarezza, oltreché omogeneità e non contrasto, di ogni futuro testo normativo. Va inoltre limitata la legiferazione per mezzo di decreti legge, possibilmente modificando l’art. 77 della Costituzione che già limita tale attività ai “casi di necessità e urgenza” (sic!). Ma questo evidentemente non basta a far moderare i nostri politici.

Per tutta la legislazione esistente occorre invece la costituzione urgente di un dicastero tecnico permanente per la revisione normativa. Possibilmente presieduto da giuristi di chiara esperienza. Vanno esaminati tutti gli atti normativi esistenti proponendo le necessarie abrogazioni, unificazioni, trasformazioni in testi unici, e segnalando le sovrapposizioni e i contrasti insanabili alla luce anche di eventuali contrasti giurisprudenziali.

Ci vorranno anni. Ma è necessario e ormai indifferibile.

2.1 I problemi dell’assenza di fonti divulgative

Tutti conoscono la comune locuzione: “la legge non ammette ignoranza”. Discende dal principio di diritto espresso con il brocardo giuridico “ignorantia legis non excusat”, codificato all’art. 5 del codice penale ed esteso a ogni altro ambito dell’ordinamento (eg: civile, amministrativo) ove siano previste sanzioni e punizioni. Si trattava di una cosiddetta “presunzione assoluta” che non ammetteva alcuna prova contraria, fin quando non intervenne la storica sentenza n. 364/1988 della Corte Costituzionale che in sintesi introdusse la cd. “ignoranza inevitabile”. Ma il perimetro di questa apertura alla scusabilità è stretto ed eccezionale, ed è bene augurarsi di non doverlo mai percorrere.

Rimane l’obbligo strettissimo da parte del cittadino di conoscere e rispettare la legge. E condizione sufficiente alla conoscenza della legge è la sua pubblicazione nei modi previsti dalla legge stessa, come la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Dopodiché, il cittadino dovrà arrangiarsi.

Naturalmente, chi ha interessi in particolari materie ricorre a una consulenza costante di esperti per non incorrere nel pericolo di aver ignorato qualche norma o non averla intesa in modo corretto. Questo sarebbe ancor più necessario se consideriamo quanto argomentato al punto precedente, ma è già di per sé inammissibile il limite divulgativo degli atti normativi tramite strumenti divenuti ormai anacronistici, e certamente mai idonei a conseguire quel risultato che consiste nell’obbligo della personale conoscenza, e non nel ricorso sistematico a interpreti esterni, peraltro con conseguenti costi e altri ordini d’incertezza (bravura degli interpreti stessi) a carico sempre del cittadino.

Per esercitare correttamente tale diritto, riducendo possibilità di errori e oneri, il cittadino dovrebbe inoltre poter accedere alla giurisprudenza che si forma attorno a una norma, e che rappresenta l’interprete più autentico e affidabile della norma stessa. Anche tale esercizio è vincolato da costi piuttosto elevati (banche dati giuridiche), e anche per questo viene affidato a quei consulenti esterni a cui si è fatto cenno. Inevitabile a causa degli astrusi tecnicismi della materia e del linguaggio tipico “legalese” reso spesso inaccessibile al cittadino medio.

In stretta sintesi, avviene che la conoscenza delle norme è resa complessa e costosa per il cittadino, nonostante la sua obbligatorietà quasi assoluta e le pesanti conseguenze (altri costi e intasamento della Giustizia) in caso di scarsa consapevolezza. E tutto ciò peraltro collide con l’art. 2 Cost., il quale enuncia il principio di solidarietà come dovere del cittadino, in questo caso a informarsi sulla legge, e quello dello Stato a rimuovere qualunque ostacolo che rendesse difficoltosa la piena cognizione della legge.

Il capitolo prosegue nella seconda parte...


📸 base foto: DALL-E (IA), su input “Riforme e società stile Banksy”, 24/04/2023