Sono mesi che noi umani conviviamo con l’angoscia della tragica e devastante emergenza del Covid-19.

Sono anni, invece, che la nostra democrazia è infetta da un virus non meno distruttivo che ne insidia la stessa esistenza. 

Mi riferisco al virus della disinformazione.

Ormai da tempo non c’è più nei processi informativi la cronaca, cioè quella modalità lineare ed obiettiva di narrazione degli avvenimenti che lasciava al lettore la libertà di interpretare e criticare l’evento o la situazione.

Salve alcune meritevoli eccezioni, il giornalismo dozzinale dei giorni nostri è asservito di volta in volta alle direttive dell’editore, alle pressioni del potente di turno,  alla convenienza del momento.

Si tratta, in generale, di modesti pennivendoli che, mercenari, si concedono con spregiudicatezza a chiunque assicuri loro maggiori vantaggi personali, inventandosi fake news, offuscando o deformando la realtà, diffondendo fregnacce ma, soprattutto, facendo sì che il referente di turno possa esibirsi nel suo soliloquio senza un contradditorio.

Non sentiremo mai questi professionisti della disinformazione porre una domanda imbarazzante al loro foraggiatore.

Si narra, e non pare una legenda metropolitana, che, ai tempi in cui Silvio Berlusconi era all’auge del potere politico e della popolarità, Bruno Vespa pur di averlo ospite nel suo programma “Porta a Porta” soggiacesse senza fiatare alla condizione che fosse l’ufficio stampa di Arcore ad indicare oltre ai temi da trattare e  alle domande da proporre  anche chi avrebbe dovuto porle. 

Non bisogna tornare però a “i temp de Carl Cudega” per imbattersi in casi riprovevoli di disinformazione.

Ad esempio, martedì scorso 24 marzo Matteo Salvini era ospite della trasmissione “Carta Bianca” condotta da Bianca Berlinguer.

In palese stato confusionale  il leader leghista ha dato sfoggio di tutta la sua ignoranza in materia di finanza pubblica senza che Bianca Berlinguer osasse neppure  riprenderlo.

Così, a proposito degli interventi per contrastare l’emergenza Covid-19, Salvini ha esordito affermando: “Dobbiamo usare per gli italiani i soldi degli italiani. L’anno scorso il PIL degli italiani è stato di 1 miliardo e 800 milioni di euro, la spesa pubblica 800 milioni. I soldi quindi ci sono”.

Ora, a parte il fatto che nel 2019 il PIL è stato di 1.800 miliardi, e non di 1,8 milioni, e la spesa pubblica (per stipendi pubblici, pensioni, interessi sul debito, etc.) di 850 miliardi e non 800 milioni, ad essere così sconclusionato e privo di fondamento, da far raggelare anche la assennata massaia di Voghera, è stato il ragionamento “dell'economista Salvini”.

Il PIL, infatti, avrà riflettuto la casalinga vogherese è la ricchezza prodotta dal Paese e non ha nulla a che vedere con le entrate dello Stato, formate invece da tasse, contributi ed eventuali vendite di asset del patrimonio pubblico.

Se nel 2019, perciò, le entrate fiscali sono state solo di 800 miliardi è evidente che lo Stato, quindi tutti noi, per coprire gli 850 miliardi dell’intera spesa pubblica, abbiamo dovuto indebitarci emettendo titoli di Stato sui quali, perbacco, paghiamo interessi.

Ma della crassa ignoranza di Salvini possiamo anche sorridere.

Non c’è da sorridere, invece, all’idea che uno o più  di quel 1.521.000 di telespettatori che martedì sera hanno assistito a Carta Bianca, possano essere stati indotti  a credere come grulli alle fregnacce del leader leghista.

Infatti, se anche la RAI, servizio pubblico, si tuffa nel putridume della disinformazione per la nostra democrazia non c’è futuro.