La teologia di Sopoćko evidenzia il modo della Redenzione parimenti a quello che manifesta la misericordia di Dio, perché il Signore Gesù per salvare tutta l’umanità, assunse su di sé i peccati di tutto il mondo e i suoi effetti, li riparò con i tormenti della croce. Il Nostro, richiamando molte volte a conferma i Salmi e i passi di Isaia, precisa che Cristo dette inizio alla riparazione dei peccati fin dal suo concepimento. Si sottopose alla Torā, alle umiliazioni di ogni genere fino al supremo sacrificio della sua passione e morte. I singoli benefici della Redenzione vanno non alla “massa degli uomini”, ma alle singole persone e si prolungano nell’eternità. La grazia della misericordia di Dio agisce individualmente per ogni persona, offre occasioni di salvezza e aiuta nel cammino  di perfezione. La misericordia di Dio non solo perdona i peccati degli uomini, ma li aiuta anche nel cammino di conversione. Come una buona madre allontana le spine dal suo bambino per impedirgli di farsi male in luoghi pericolosi, così Dio toglie le spine da sotto i piedi per la conversione degli uomini e per farli vivere con Lui. Il Signore dimentica le loro iniquità per condurli alla gioia del cielo[1].

Nell’evento pasquale, Sopoćko riesce a cogliere la centralità del mistero dell’incarnazione del Logos di Dio, che esprime pienamente lo stile di tutta la vita terrena di Gesù, quale storia di amore, delle opere di misericordia e di libertà, vissuta nella parallela fedeltà a Dio Padre e agli uomini[2]. Il Nostro vede nella Pasqua «l’immagine tipica del vivere per gli altri, cioè il mistero della solidarietà tra Dio e uomo»[3] portato fino all’estremità della croce[4]. Il Crocifisso che è la vita eterna[5], si dona pienamente per la salvezza di molti, morendo della “morte di maledizione”. Infatti, Sopoćko volendo dimostrarlo, scrive:

«Se il Signore Gesù fosse solamente un uomo, sceglierebbe la morte silenziosa oppure eroica. Cristo invece sceglie la morte scandalosa - la morte da crocifissione, propria degli schiavi. Questo tipo di morte confonde le nostre idee e l’immaginazione è fastidiosa, suscita superbia, ma nello stesso tempo guarisce la nostra natura»[6]. 

 Esattamente, «la morte scandalosa e l’ammutolimento del Logos, difficili da comprendere, sono diventati nella loro autoaffermazione centrale, come la sua rivelazione ultima e la sua parola estrema. Gesù nell’umiltà del suo abbassamento è ubbidiente fino alla croce, identico con il Kyrios esaltato. La continuità è data dall’amore assoluto di Dio per l’uomo, efficacemente rappresentato in entrambi gli aspetti, mentre il fondamento della possibilità della misericordia per l’uomo è dato dall’amore trinitario in se stesso»[7].

Consideriamo che Gesù possiede «il suo punto focale nella storia della passione e morte sulla croce, che sicuramente va letta nella potenza dello Spirito nell’amore. Un tale mistero di morte e risurrezione»[8], però, mentre da «una parte manifesta la misericordia di Dio Padre e dello Spirito, come forza espansiva di amore che si effonde, dall’altra fa risaltare la totale condivisione e solidarietà di Gesù Cristo con gli uomini»[9].

 Tuttavia, «l’accettazione del limite umano si trova nell’evento della Pasqua, motivo di assunzione e trascendimento. L’amore reciproco con l’effusione della Trinità è la radice di una rinnovata concezione relazionale nella quale gli esseri umani»[10] si pongono. Potremo dire che «il momento culminante della storia intera della passione, e anche della intera narrazione evangelica, è quello della morte gloriosa di Gesù sulla croce»[11]. 

 Infatti, l’innalzamento di Gesù sulla croce è stato il momento della massima glorificazione. Egli mediante la morte gloriosa ha trasmesso lo Spirito Santo al mondo (cf. Gv 12,16). Nella gloria che Gesù ha ottenuto dal Padre, si manifesta agli uomini la perfetta comunione con il Padre. Tutti coloro che percepiscono tale mistero della “comunione perfetta” vengono associati e possono diventare la manifestazione della gloria stessa del Figlio di Dio. Per poter realizzare quest’opera dell’unità è necessario amarsi gli uni e gli altri (cf. Gv 17,22). Nell’Ultima Cena, nel Getsemani e nel processo “più paradossale in tutta la storia dell’umanità”, emerge il valore definitivo della storia della salvezza. Il Venerdì santo, invece, introduce particolarmente a un rinnovamento e ad un cambiamento radicale in tutto il  processo della “rivelazione della misericordia di Dio”. Cristo, compiendo la sua missione messianica, «curando ogni malattia e infermità» (Mt 9,35), «beneficando e risanando» (Ac 10,38), nell’ora della passione, sembrava di invocare e di aver bisogno Egli stesso della misericordia (cf. Mc 15,37; cf. Gv 19,30)[12]. In quell’ora della passione dolorosa e crudele, che segnala ormai l’ultima tappa della missione messianica, il teologo polacco mostra che si sono adempiute in Cristo tutte le profezie dell’AT, in modo particolare quelle di Isaia, espresse nel passo dove parla sul Servo di Jahvè (cf. Is 53,5)[13] 

Sopoćko, quando riflette sull’agonia di Cristo, trova qualcosa di straordinariamente libero, forte e regale. Dice che Egli volle morire di morte umana agli occhi di tutto il mondo, consapevole nella fortezza, della sua libera volontà nell’ora della morte e non in un’ora qualsiasi. Precisando scrive:

 «Una delle ultime frasi di Gesù sulla croce fu: Tutto è compiuto (Gv 19,30). Con queste parole il Salvatore espresse il compimento di tutte le profezie, le prefigurazioni e le tipologie veterotestamentarie riguardanti la persona del Messia, in altri termini, il compimento della propria missione, cioè il compimento della Volontà del Padre nei minimi particolari. Cristo Signore è il modello di tutti i cristiani»[14].

 La croce nel Nostro diventa come: “il trono del Re misericordioso”, “l’altare” e “l’ambone del Sommo Sacerdote”, “il tribunale” e “la sedia del Giudice supremo”. Tanto è vero che la parte verticale della croce penetra la terra e il cielo, in linea orizzontale abbraccia il mondo che esprime l’innalzamento degli uomini e l’onnipotenza della misericordia di Dio nella Redenzione universale[15]. 

Occorre prendere in considerazione anche una particolare osservazione di Sopoćko secondo cui la condanna di Gesù alla croce fu scritta “in tre lingue” (cf. Gv 19,20). Tanto  è vero che non fu scritto “il Messia”, ma “il re dei giudei”. In questo fatto storico il Nostro vede “un segno provvidenziale”[16]. Infatti, «questa definizione, che formula il motivo della condanna romana, oltre che giudaica, non ha avuto nessuna risonanza, nessuna conseguenza nella coscienza di fede della chiesa o delle chiese primitive. Infatti, nessun testo cristiano la recupera. Essa, infatti, non esprime la fede cristiana; esprime solo  il motivo giuridico della condanna, ma non c’è mai in nessuna confessione di fede»[17]. Infatti, per questo «si arriva poi alla confessione fondamentale della fede, che è pasquale, non del Gesù terreno, la confessione di Lui come Kyrios. Essa è la vera prima confessione della fede cristiana, non quella di Gesù come Dio. Appunto, è cosa rarissima trovare nel Nuovo Testamento la definizione di Gesù come Dio»[18]. Semmai possiamo dire che «il titolo di Signore equivale più o meno a dire Dio stesso, visto che nell’Antico Testamento greco la qualifica di “Signore” serve per rendere il nome ebraico del Dio d’Israele (Jhwh)»[19]. 




[1] Ibidem, pp. 21-22.
[2] Cf. M. Sopoćko, Miłosierdzie Boga w dziełach Jego, vol. II, pp. 46-49: Poznajmy Boga w Jego Miłosierdziu, pp. 110-111.
[3] M. Sopoćko, Zaufałem Twojemu Miłosierdziu. Myśli na każdy dzień, p. 28.
[4] Cf. Dz., q. IV, p. 291.
[5] Nel terzo capitolo del manuale di Adolf Tanquerey: Synopsis Theologiae Dogmaticae, sottotitolo De Merito, leggiamo che: Vita aeterna datur ex misericordia qui coronat te in misericordia (La vita eterna è data dalla misericordia che ti incorona di misericordia): A. Tanquerey, Synopsis Theologiae Dogmaticae - De Deo Sanctificante et Remuneratore seu de Gratia, de Sacramentis et de Novissimi, vol. III, Desclée, Paris 1929, p. 198. 
[6] M. Sopoćko, Miłosierdzie Boga w dziełach Jego, vol. II, p. 219.
[7] J. Feiner - M.Löhrer, L’evento Cristo, vol. VI, Queriniana, Brescia 1971, pp. 232-233: vedi M. Bordoni, Cristologia, in G. Barbaglio - S. Dianich (edd.), Nuovo dizionario di teologia, Paoline, Cinisello Balsamo 1991, pp. 234-271; M. Serenthà, La teologia trinitaria oggi, in “La Scuola Teologica” 118(1990), pp. 121-127.
[8] N. Ciola, Cristologia e Trinità, p. 194.
[9] Ibidem.
[10] Ibidem.
[11] M. Sopoćko, Jezus Król Miłosierdzia, p. 167. 
[12] Cf. M. Sopoćko, Miłosierdzie Boga w dziełach Jego, vol. II, pp. 100-119.
[13] Cf. M. Sopoćko, Lauda Sion Salvatorem, WAW, Warszawa 1931, pp. 105-107.
[14] M. Sopoćko, Tutto è compiuto, AZSJM, Myślibórz 1942, p. 3.
[15] Cf. M. Sopoćko ĆKO, Miłosierdzie Boga w dziełach Jego, vol. II, pp. 219-220.
[16] Cf. ibidem, pp. 169-170.
[17] R. Penna, Il DNA del cristianesimo. L’identità cristiana allo stato nascente, San Paolo, Cinisello Balsamo 2007, p. 58.
[18] Ibidem, p. 59. «ΘΕΟΣ; solo due volte: in Gv 20,28 e Tito 2,13, mentre il testo di Rm 9,5; invece quella di Signore (Kyrios) è tipica e fondamentale e nelle sole lettere autentiche di san Paolo ammonta a circa 150 volte (cf. 1Cor 8,6 e Fil 2,11)»: citato in ibidem.
[19] Ibidem.