Era il luglio del 1977 quando Der Spiegel pubblicò in copertina un piatto di spaghetti su cui poggiava in bella vista una P38. Il titolo a commento, tradotto, era il seguente: Italia paese delle vacanze. Sequestro, scippi, estorsione. L'Italia era identificata come il paese della mafia e della criminalità organizzata.

Al di là del fatto che il giudizio potesse essere o meno vero o ingeneroso, va comunque sottolineata l'efficacia della copertina che, con una semplice immagine, era riuscita a produrre un racconto.

Non sempre accade, ma quando una foto, un fotomontaggio o una vignetta riescono a fotografare una situazione nella sua vera essenza, il risultato che si ottiene vale più di mille parole.

Der Spiegel, questa settimana, è uscito con una copertina che, da sola, vale non un articolo, ma addirittura un'inchiesta. In una vignetta, è rappresentato un Trump riconoscibilissimo, anche se molto stilizzato, mentre grida stringendo in alto, con la mano destra, la testa sanguinante della Statua della Libertà e nella sinistra la spada, anch'essa sanguinante, con cui l'ha tagliata. In basso, solitaria, ma ben visibile, la scritta AMERICA FIRST.

La vignetta è opera di Edel Rodriguez, un artista cubano emigrato negli Stati Uniti nel 1980 come rifugiato politico.

Trump paragonato ad un terrorista islamico. Una similitudine assurda nella forma, ma assolutamente corretta nei contenuti. Infatti, al pari dei terrorirsti dello stato Islamico, Trump cerca di imporre la propria visione del mondo, negando la possibilità che possa esisterne una diversa. Come i terroristi islamici, Trump lotta contro il concetto stesso di libertà e, in base a quanto ha dichiarato tramite un portavoce l'ex presidente Obama, rinnega lo spirito stesso della Costituzione americana.

È esagerata questa affermazione? Non sembra riassumendo quello che Trump è riuscito a fare in due settimane. In pratica, ha interrotto i rapporti commerciali con i paesi del continente americano, riducendo ai minimi termini le relazioni diplomatiche con il Messico. In oriente ha fatto altrettanto, in attesa però di capire, commercialmente e finanziariamente, quanto potrebbe costare agli USA interrompere anche le relazioni con la Cina, come peraltro aveva promesso di fare in campagna elettorale.

Non soddisfatto ha bacchettato l'Australia per gli accordi presi sui rifugiati siriani con la precedente amministrazione Obama. Dell'Europa ha auspicato la dissoluzione, scagliandosi contro la Germania e la sua politica economica. All'Iran ha imposto nuove sanzioni, in barba ai faticosi passi fatti da Obama verso una politica di distensione tra i due paesi.

Per quanto riguarda la politica interna, Trump ha pensato bene di interrompere l'applicazione dell'ObamaCare per la sanità pubblica, ha bloccato le assunzioni di dipendenti pubblici, ha vietato l'accoglienza dei rifugiati e l'ingresso in USA a cittadini provenienti da alcuni stati africani e mediorientali.

Oltre a questo ha promesso di rivedere le politiche ambientali rendendole meno stringenti e ha dato il via libera alla costruzione di un oleodotto che Obama aveva annullato, con buona pace dei diritti e delle pretese della popolazione autoctona che chiedeva di preservare i propri luoghi. Da non dimenticare anche la nomina di un giudice ultra conservatore alla Corte Suprema.

Non ci vuole molto per capire che quella di Trump è una politica di contrapposizione e non di dialogo. La contrapposizione è la negazione, in sé, di qualsiasi visione diversa dalla propria. La contrapposizione non prevede, per gli altri, la possibilità di supportare un punto di vista che non sia ritenuto canonico giudicandolo, pertanto, inammissibile a prescindere. 

In pratica, ciò significa, come principio, la negazione della libertà. E quando si stabilisce un principio e questo viene acquisito come normale e dovuto, è evidente che non sarà possibile poi limitarlo. Adesso non rimane che attendere per vedere fino a quando e contro chi si estenderà questo principio.