Martedì 11 luglio 2017, nel Cenacolo di Santa Croce a Firenze è stato presentato alla stampa e al pubblico il restauro del Dio fluviale, statua realizzata da Michelangelo Buonarroti tra il 1526 e il 1527, proprietà dell’Accademia delle Arti del Disegno.
Lo scultore e architetto Bartolomeo Ammannati, il 28 aprile 1583, donò l’opera all’Accademia che era stata costituita vent’anni prima, nel 1563, per volere di Cosimo I de’ Medici, Giorgio Vasari e Vincenzo Borghini. Michelangelo fu il primo Accademico e fu proprio l’Accademia delle Arti del Disegno, il 14 luglio 1564, a curare i suoi funerali e costruire la sua tomba, realizzata da Vasari, nella Basilica di Santa Croce, nel luogo della memoria dove ancora oggi riposano i resti mortali del grande artista.
Il Dio fluviale è un imponente torso umano, quasi a grandezza naturale, che per la suggestiva bellezza ed il valore memoriale rappresenta uno dei capolavori del Rinascimento di pertinenza dell’Accademia delle Arti del Disegno. Dal dicembre 1965 si trova in deposito a Casa Buonarroti.
Tre anni di lavoro con l'obiettivo di ripristinare la stabilità conservativa dell’opera che, fragile di per sé, aveva subito numerosi interventi a partire dal Cinquecento. Il lavoro compiuto dall’Opificio delle Pietre Dure, guidato da Marco Ciatti, con la direzione di Laura Speranza per l’Opificio delle Pietre Dure e di Giorgio Bonsanti per l’Accademia delle Arti del Disegno, è stato interamente realizzato dalla restauratrice Rosanna Moradei. Lo studio della statua, le tecniche di restauro e l’abilità degli operatori hanno consentito di raggiungere anche un ulteriore risultato: riportare alla luce il colore originale ad imitazione del marmo.
«L’intervento, lungo e sensibile - ha dichiarato Cristina Acidini, Presidente dell’Accademia delle Arti del Disegno - ci consegna un’immagine che non si conosceva: un corpo potente, al quale il ritrovato biancore conferisce l’illusorio aspetto del marmo, pronto, come doveva essere nelle intenzioni di Michelangelo, per una "prova generale" nella Sagrestia Nuova in San Lorenzo.»
L’iconografia a cui appartiene questo modello, agevolmente riconoscibile malgrado il suo stato d’incompletezza, è quella dei cosiddetti Dei fluviali antropomorfi, ampiamente diffusa sin dall’antichità classica.
Nei documenti scritti, coevi alla realizzazione dell’opera e datati 1524, 1525, 1526, esistono testimonianze sul proposito michelangiolesco di realizzare Dei fluviali da collocare alle basi dei monumenti funebri dei duchi medicei nella Sagrestia Nuova della Basilica di San Lorenzo a Firenze.
L’artista avrebbe formato dei modelli di terra a grandezza naturale, sia per ottenere l’approvazione della committenza sia, al contempo, per fornire modello di riferimento per i collaboratori. Successivamente Michelangelo rinunciò ad inserire gli Dei fluviali, e la loro esecuzione in marmo non fu mai realizzata. A metà Cinquecento esistevano due modelli in terra realizzati da Michelangelo, dei quali uno è andato perduto, mentre l’altro, progettato per stare nella parte sinistra del monumento funebre di Lorenzo, Duca d’Urbino, è quello sopravvissuto.
L’anziano dio pagano nudo, esemplare paradigmatico dell’arte di Michelangelo sia per l’anatomia muscolosa del torso sia per il suo stato di "non finito", era motivato nel contesto religioso della Sagrestia Nuova nella Basilica di San Lorenzo in quanto, secondo l’uso antico, offriva un’indicazione di dominio territoriale.
Il Dio fluviale da più di cinquant’anni si trova in deposito nel museo di Casa Buonarroti ed è in questa sede che, proprio per motivi di conservazione, è stato allestito l’impegnativo cantiere del recente restauro teso a rendere più stabile un’opera così rara e preziosa.
Come evidenzia Giorgio Bonsanti, responsabile della conservazione dei beni dell’Accademia delle Arti del Disegno, «nel restauro pittorico sono state realizzate soltanto limitatissime integrazioni di ricucitura visiva. Sono state eseguite altresì preventivamente operazioni di consolidamento, imprescindibili per l’esposizione nella Mostra di Palazzo Strozzi, prevista per il prossimo autunno. Purtroppo non è stato possibile, pena gravi rischi per l’integrità dell’opera, eliminare le barre di ferro che penetrano la figura ancorandola alla base; tanto più inaccettabili, oltre l’intollerabile invasività, per averla bloccata in una posizione accertatamente erronea ed incongrua. Essa era stata pensata difatti distesa su un fianco e ruotata verso l’osservatore, con la gamba destra poggiata al suolo. Per dimostrare visibilmente la posizione originaria è stata realizzata una copia in materiali sintetici moderni, sicuramente di grande efficacia didattica.»
Il restauro è stato realizzato grazie al controllo scientifico e all’operatività d’eccellenza dell’Opificio delle Pietre Dure e il Soprintendente Marco Ciatti, sottolinea come «alle analisi scientifiche risultò che la vernice scura era frutto di un successivo intervento che ricopriva una stesura in Bianco di Piombo, che può essere considerata originaria, con la quale Michelangelo voleva raggiungere un effetto che imitasse il marmo bianco delle altre sculture della Sagrestia Nuova. Si è quindi previsto che la pulitura arrivasse alla rimozione di tale strato alterante, recuperando il pur danneggiato livello bianco sottostante, trattandolo poi con le opportune reintegrazioni pittoriche alla stregua di un dipinto.»