Sovente si afferma che non esiste più una differenziazione tra i partiti politici, tanto che diventa impossibile dire se un partito sia di destra o di sinistra. Vero? In questo articolo si mettono a confronto le principali proposte elettorali di PD e Forza Italia, ovvero i partiti moderati all'interno degli schieramenti di centrosinistra e centrodestra, per vedere se è possibile etichettarle come proposte di sinistra o di destra.

I cavalli di battaglia nel campo economico da parte dei due partiti sono i seguenti:

  • il PD propone il salario minimo obbligatorio per le professioni che oggi non prevedono accordi collettivi;

  • Forza Italia vuole invece la flat tax al 23% per tutti, famiglie e imprese.

Innanzitutto dobbiamo chiederci cosa siano la sinistra e la destra, ovvero - in ambito prettamente economico - il socialismo e il liberismo.
Sintetizzanto al massimo, la sinistra tende a pensare al bene generale della collettività mentre per la destra è importante il bene dell'individuo.
Declinando questo concetto in ambito economico la sinistra tende a redistribuire le risorse togliendo ai più abbienti e dando alle fasce più povere della popolazione (attraverso bonus economici, istruzione e sanità gratuite), mentre la destra spinge per un sistema con pochi lacci statali in modo tale che il singolo possa massimizzare il proprio profitto (e rilanciare l'economia di una nazione investendo parte dei profitti).

Tornando all'attuale campagna elettorale, il salario minimo proposto dal Partito Democratico mira ad aumentare il reddito dei lavoratori con salari piú bassi, obbligando gli imprenditori (presumibilmente la parte più ricca della popolazione) a contratti piú costosi. Tale proposta rientra effettivamente nell'alveo del pensiero socialdemocratico.

Con la flat tax proposta da Forza Italia i redditi bassi (quelli che attualmente rientrano nella no tax area oppure dentro lo scaglione IRPEF dei 15mila €) vedrebbero invariati i prelievi fiscali, i redditi medie avrebbero un piccolo vantaggio, mentre i redditi alti (sopra i 50mila €) vedrebbero abbassare l'aliquota dal 43% al 23%. (Nella visione liberista maggiori introiti per le fasce piú abbienti della popolazione genera un'economia piú dinamica dalla quale, per la teoria del trickle-down (in italiano: "gocciolamento dall'alto verso il basso"), anche le fasce meno abbienti ne traggono vantaggio.)

Quindi, tornando alla domanda iniziale, si può concludere che ha senso collocare i partiti a sinistra o a destra.

Certo, non vi è la differenziazione netta che vi era negli anni Cinquanta, visto che alcune misure "socialdemocratiche" sono attualmente ben viste anche dallo schieramento di centrodestra (il PNRR ne è un esempio) e al contempo il centrosinistra ha portato avanti leggi di impianto liberista (chi si ricorda delle "lenzuolate" di Bersani?), ma l'affermazione che destra e sinistra siano state superate non appare corretta.