In pensione a 68 anni e poi a 70, ma sempre con quattro soldi. DICIAMO NO a questa ingiustizia!

Entro il 2040 l’età pensionabile in Italia sarà innalzata a 68 anni e, secondo le previsioni della Ragioneria dello Stato, toccherà i 70 anni entro il 2068. Questo gioco al massacro del rialzo dell’età pensionabile, giustificato dall’equilibrio dei conti pubblici, solleva interrogativi inquietanti su giustizia sociale e dignità del lavoro.
Eppure, di fronte ad una prospettiva tanto grave, che penalizza i lavoratori non solo dal punto di vista anagrafico, ma soprattutto economico, dal momento che lavorare fino allo sfinimento non comporta neppure un assegno previdenziale congruo al sacrificio richiesto e a mantenere lo stesso tenore di vita garantito dalle ultime buste paga, ma tutt’altro, a causa di un sistema contributivo che si abbatte come una mannaia sulle pensioni, il popolo è incapace di una reazione concreta, rassegnato a subire in silenzio.
L’innalzamento dell’età pensionabile è solo l’ennesima misura che penalizza i lavoratori, già provati da precarietà, bassi salari e condizioni di lavoro sempre più usuranti. Mentre la politica giustifica la riforma con la necessità di garantire la sostenibilità del sistema previdenziale e di contenere la spesa pubblica, i vertici economici e finanziari continuano ad accumulare ricchezze e privilegi.
Le disparità sociali si ampliano, e chi detiene il potere sembra esente dai sacrifici imposti alla collettività.
L’apatia con cui viene accolta questa prospettiva è inquietante. I cittadini, pur consapevoli delle ingiustizie, sembrano incapaci di organizzare una protesta efficace. Le cause di questa passività sono molteplici: la frammentazione del tessuto sociale, la sfiducia nella politica e nei sindacati e la narrazione dominante che punta a convincere che non vi siano alternative, che il sacrificio sia inevitabile per il bene comune.
Così, l’indignazione resta confinata ai social network o alle chiacchiere da bar, senza mai trasformarsi in una mobilitazione reale.
Per contro, invece, esistono modelli di welfare diversi, che consentono un equilibrio tra sostenibilità economica e tutela dei diritti. La redistribuzione della ricchezza, una tassazione più equa, il contrasto all’evasione fiscale e l’incentivo a nuove forme di contribuzione volontaria, come ad esempio il riscatto della laurea conseguita anche lavorando, potrebbero alleviare il peso della previdenza, senza costringere le persone a lavorare fino ad età avanzata.
Tuttavia, senza una presa di coscienza collettiva e un’azione decisa, queste alternative resteranno mere utopie.
Se l’età pensionabile raggiungerà davvero i 70 anni, non sarà solo per esigenze economiche, ma anche per la rassegnazione di chi subisce senza reagire.
La domanda cruciale resta: fino a quando il popolo accetterà di lavorare fino allo sfinimento senza opporsi?
La storia insegna che i diritti non vengono concessi, ma conquistati.
Forse è tempo di risvegliarsi dal torpore prima che sia troppo tardi. FIRMA LA PETIZIONE