Di seguito l'intervento di Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia, alla XIII Conferenza MAECI su “Transizione energetica, finanza e clima: sfide e opportunità”.
  

L’incontro di oggi cade in un momento tragico: i gravi eventi di queste settimane hanno gettato un’ombra di acuta incertezza su un’economia mondiale che già negli ultimi quindici anni aveva subito gli sconvolgimenti conseguenti prima alla crisi finanziaria globale, poi alla pandemia. Il contesto emerso dalla fine della guerra fredda sembra ora essere rimesso in questione. Sono divenuti incerti il quadro di integrazione economica e finanziaria internazionale e l’articolato assetto multilaterale che, pur tra molte difficoltà, era riuscito a mantenere in vita il dialogo e la cooperazione. Crepe già erano emerse negli ultimi anni; oggi è a repentaglio la pace nel nostro continente, elemento cruciale degli equilibri determinatisi nel secondo dopoguerra del secolo scorso. Si tratta di una cesura profonda, oltre che drammatica, che non potrà che portare a equilibri diversi, ancorché ora difficili da definire.

Ci vorrà tempo per valutare i costi – umani, morali, nonché economici – di questo sovvertimento. Negli anni successivi alla caduta del Muro di Berlino si parlò di un peace dividend: quel dividendo – in termini di maggiori risorse disponibili per investimenti, di utilizzo pacifico degli avanzamenti scientifici e tecnologici, di circolazione delle idee e delle persone – è stato effettivamente assai rilevante.

La guerra in corso in Ucraina ci costringe a interrogarci sull’entità del tributo che ci lascerà in eredità.

La guerra ha reso inoltre pressante la necessità di affrontare il nodo della sicurezza energetica. In Europa, dove le politiche energetiche dei singoli paesi sono inevitabilmente interdipendenti, si pone l’esigenza di affrontare questa sfida in modo collettivo e unitario. Le proposte avanzate nei giorni scorsi dalla Commissione europea mirano a rafforzare la sicurezza degli approvvigionamenti di energia e ridurre la dipendenza dalle importazioni dalla Russia.

Se il rafforzamento della sicurezza energetica, come ogni assicurazione, comporta dei costi, esso pone anche difficili dilemmi, quale quello tra garantire approvvigionamenti più sicuri nell’immediato e assicurare la sostenibilità economica e ambientale nel medio e lungo periodo.

Potrebbe essere necessario discostarsi, temporaneamente, dal sentiero di decarbonizzazione intrapreso, ad esempio rallentando la dismissione delle centrali a carbone, ma occorre evitare che questi scostamenti inducano incertezza sui piani a medio termine, con l’effetto di scoraggiare gli investimenti indispensabili a realizzare la transizione energetica.


La sfida della transizione energetica

Questa giornata di lavoro si concentra su come riorientare le risorse finanziarie per sostenere una transizione efficace, avviando un processo di decarbonizzazione ordinato e sostenibile, tale tuttavia da non compromettere le possibilità di sviluppo dei paesi economicamente più vulnerabili – paesi nei quali una considerevole quota della popolazione è ancora priva di accesso ai servizi energetici essenziali.

La definizione di strategie volte a indirizzare i flussi finanziari verso soluzioni in grado di contribuire a ridurre l’impronta di carbonio e a rendere sostenibili i nostri sistemi economici e sociali è stata una priorità della Presidenza italiana del Gruppo dei Venti (G20). A questo fine abbiamo rilanciato e rafforzato il gruppo di studio sulla finanza sostenibile, favorendone la trasformazione in un gruppo stabile del G20 (Sustainable Finance Working Group) e facendolo presiedere da Stati Uniti e Cina.

Il gruppo ha elaborato una tabella di marcia per la finanza sostenibile, approvata dai Capi di Stato e di Governo dei paesi del G20, con la definizione di azioni necessarie per favorire l’allineamento degli investimenti pubblici e privati con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e dell’Agenda 2030. Questo importante lascito della Presidenza italiana costituisce un punto di riferimento internazionale per la finanza sostenibile.

Nel luglio scorso abbiamo organizzato la Conferenza internazionale di Venezia sui cambiamenti climatici. Nel corso di quell’evento il professor Michael Greenstone dell’Università di Chicago ha fatto un’osservazione che reputo utile richiamare oggi. Ha paragonato il precario percorso della transizione energetica all’equilibrio di uno sgabello a tre gambe. La prima richiede che le società abbiano accesso a forme di energia affidabili e sicure; la seconda che i costi per approvvigionarsi dei servizi energetici siano accessibili; la terza che le tecnologie e le fonti di energia che utilizziamo non danneggino la salute umana e gli ecosistemi. I recenti sviluppi sui mercati energetici, aggravati dall’aggressione all’Ucraina, rendono più fragili le prime due gambe e più precario l’equilibrio complessivo.

È oggi evidente che non ci sono risposte semplici e condivise, ma rimandare la sfida climatica non è certo una soluzione: vorrebbe solo dire trovarsi costretti tra qualche anno a prendere misure più forti e repentine per evitare scenari ambientali catastrofici (come ci ricorda l’ultimo Rapporto di Valutazione del Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici, IPCC). Sarebbe quella che, nel linguaggio degli esperti di scenari climatici,è definita una transizione disordinata.


La lotta ai cambiamenti climatici

Azzerare le emissioni nette di gas serra entro la metà del secolo è necessario per evitare effetti disastrosi sul piano economico e sociale e per salvaguardare ecosistemi e biodiversità. Il cambiamento climatico pone seri rischi per il buon funzionamento e la stabilità delle nostre economie, e perseguire una transizione giusta e ordinata a livello globale richiede un forte coordinamento internazionale. Gli impegni di riduzione delle emissioni presi dalle 191 nazioni che hanno partecipato alla COP26 di Glasgow mirano a contenere l’aumento delle emissioni globali per il 2030 entro il 16 per cento rispetto ai livelli del 2010; questo è significativamente meno di quanto sarebbe necessario perché il riscaldamento globale non determini una temperatura di oltre due gradi al di sopra dei valori preindustriali (cioè una riduzione delle emissioni pari al 45 per cento). Occorrono a tal fine piani più ambiziosi di quelli in essere e una più stretta cooperazione globale.

Il recente dialogo nei consessi multilaterali ha fatto emergere le tensioni tra le ambizioni delle economie avanzate e i timori dei paesi emergenti, nei quali i consumi energetici, ancora pari a livello pro capite a una frazione di quelli dei paesi OCSE e ancora soprattutto basati, per disponibilità e bassi costi, sul carbone, non possono che essere in forte crescita. In particolare questi paesi lamentano come non sia stata ancora onorata la promessa di supporto finanziario (di almeno 100 miliardi di dollari all’anno) prevista dagli impegni presi nel 2009 a Copenaghen e confermati con l’Accordo di Parigi del 2015. Quanto ai paesi esportatori di petrolio e di gas, essi vedono minacciata la principale fonte delle loro entrate e devono affrontare una difficile riconversione, con il rischio – per alcuni – di non poter comunque recuperare la posizione attuale.

La questione che si pone a livello internazionale quindi è come allineare gli incentivi dei diversi paesi con quelli della comunità globale. Sebbene ogni paese sia responsabile della propria strategia di mitigazione, da un migliore coordinamento delle politiche dovrebbero derivare reciproci, potenzialmente molto ampi, benefici.


Le ambizioni europee

L’Europa continua a essere in prima linea nelle politiche climatiche, ma il nostro impegno alla riduzione delle emissioni, per quanto ambizioso, può fornire un contributo solo modesto rispetto allo sforzo globale richiesto. Rimangono comunque ancora da definire le modalità con cui conseguire gli obiettivi prefissati e approfondire i riflessi delle politiche climatiche sulla competitività e il benessere dei cittadini europei.

Una transizione governata dall’alto va inoltre resa compatibile con l’operare della domanda e dell’offerta di energia, di origini diverse e in una pluralità di mercati. In questo contesto la frammentazione delle politiche energetiche e climatiche a livello nazionale introduce ulteriori elementi di volatilità e incertezza per le scelte degli attori economici e degli stessi governi.

L’impennata dei prezzi dell’energia degli ultimi mesi e la possibilità che venga meno la sicurezza degli approvvigionamenti conseguente ai drammatici eventi di questi giorni mostrano quanto le politiche necessarie alla transizione possano rivelarsi, alla prova dei fatti, fragili e di difficile attuazione sul piano economico e sociale.


Il ruolo della finanza

Gli ingenti investimenti necessari per la trasformazione dei sistemi energetici assegnano alla finanza privata un peso centrale: sia per il suo ruolo nell’allocazione dei capitali sia come strumento per la gestione e la diversificazione dei rischi cui il sistema finanziario si trova esposto in conseguenza dei cambiamenti climatici e delle politiche di decarbonizzazione.

Il volume di strumenti finanziari che raccolgono risorse con finalità ambientali è rapidamente cresciuto. A metà del 2021 le emissioni di obbligazioni “verdi” erano raddoppiate rispetto al primo semestre 2020, raggiungendo i 1.300 miliardi di dollari. L’impegno delle autorità e il diffondersi di sistemi di classificazione, tassonomie, che aiutano gli operatori finanziari a valutare il livello di sostenibilità dei loro investimenti favoriranno l’ulteriore sviluppo del mercato delle obbligazioni verdi e sostenibili.

La convergenza verso criteri di sostenibilità comuni riduce il rischio di greenwashing e facilita la conversione delle attività produttive. Cresce conseguentemente la domanda di dati di qualità con cui misurare l’impatto del cambiamento climatico sull’economia e sul sistema finanziario. Nel sostenere la transizione, le banche centrali svolgono un ruolo importante sotto diversi punti di vista. La Banca d’Italia, ad esempio, in qualità di investitore applica da tre anni criteri di sostenibilità ai propri portafogli finanziari; come autorità di vigilanza micro e macroprudenziale verifica la corretta valutazione dei rischi climatici e di sostenibilità da parte degli intermediari e accerta l’entità di tali rischi per la stabilità finanziaria complessiva; nell’ambito dell’Eurosistema esamina come integrare i rischi climatici nei modelli e nelle operazioni di politica monetaria.

La responsabilità primaria nell’affrontare il cambiamento climatico spetta tuttavia ai governi nazionali, che hanno la necessaria legittimità democratica e possono applicare gli strumenti più adeguati, come l’imposizione di una carbon tax, l’eliminazione graduale dei sussidi ai combustibili fossili e misure normative sulle emissioni di gas serra, fornendo inoltre sussidi o incentivi fiscali alle attività verdi. Nella transizione è necessario orientare in modo chiaro le aspettative di mercato; è quindi necessario a tal fine operare per rendere sempre più credibile il quadro complessivo di cooperazione internazionale.

Una funzione di impulso può essere svolta delle banche multilaterali di sviluppo. Tali istituzioni sono fondamentali per catalizzare i capitali privati e promuovere la creazione di strumenti atti a finanziare progetti per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici, specialmente nelle economie più fragili dove, come ho ricordato, la sfida della transizione è resa più complessa dalla contemporanea crescita della domanda di energia connessa con lo sviluppo economico.