Dopo 6 giorni d'attesa, finalmente alla Sea-Watch 3 è stato assegnato quello di Messina come porto sicuro per lo sbarco delle 194 persone a bordo soccorse in differenti operazioni di salvataggio nel Mediterraneo centrale.

Dalla nave della Ong che si sta dirigendo verso le coste siciliane fanno sapere che nel frattempo altre due barche in difficoltà in fuga dalla Libia hanno chiesto aiuto, senza però che nessuno finora abbia accolto la richiesta. Come ricorda Alarm Phone, una di queste barche, di cui non si hanno più notizie da alcune ore, ha a bordo 85 persone.

In relazione al PoS di Messina, da segnalare la dichiarazione odierna del presidente della regione, Nello Musumeci: «Faccio appello al presidente Conte: dal governo regionale siciliano è arrivato finora un responsabile atteggiamento rispetto alla gestione unitaria di questa emergenza. Ma serve reciprocità. Avevo chiesto ieri e ribadisco oggi: in un contesto di allarme come quello attuale, suona come una sfida al popolo siciliano pensare di fare sbarcare altri 194 migranti in Sicilia. Una quarantena a bordo è indispensabile o, se le autorità ritengono che la nave non lo consenta, si interloquisca con le autorità competenti e si diriga in altri porti».

La quarantena anti coronavirus per i migranti e per chi li ha presi a bordo è stata "inaugurata" qualche giorno fa per equipaggio e ospiti della nave Ocean Viking, attraccata a Pozzallo, su ordine del ministro dell'Interno Lamorgese.

Una decisione il cui senso non è stato spiegato dalla stessa Lamorgese, che continua a tacere al riguardo. Quello che non si capisce è il perché non si disponga un provvedimento per le migliaia di africani che giornalmente arrivano nei nostri aeroporti. 

Al momento la domanda resta senza risposta. E, quasi sicuramente, resterà senza conseguenza la richiesta proveniente dal Consiglio d'Europa, di cui ha parlato il quotidiano Avvenire, inviata il 23 febbraio al ministro degli Esteri Luigi Di Maio: 

«Chiedo al vostro governo di sospendere ogni attività di cooperazione con la guardia costiera libica che comporta, direttamente o indirettamente, il respingimento di persone intercettate in mare», e riportate a terra nei campi di tortura di un Paese in guerra civile. La richiesta della commissaria per i diritti umani del Consiglio d'Europa al governo italiano è perentoria. E comincia da un rimprovero: «L'Italia deve riconoscere la realtà della situazione in Libia».

Il ministero degli Esteri, guidato da uno di quelli che volevano aprire le istituzioni come se fossero scatolette di tonno, ha risposto facendo ricorso all'ipocrisia in pieno stile prima repubblica: «Siamo pienamente consapevoli che esiste un margine di miglioramento nella cooperazione stabilita nel 2017 con la Libia, ma i dati in quanto tali ci dicono che dobbiamo continuare a lavorare in questa direzione, piuttosto che disimpegnarci dal Paese».

Da aggiungere, per chi non ne fosse informato, che il Consiglio d'Europa - con sede a Strasburgo, fondato il 5 maggio 1949 con il Trattato di Londra e forte oggi di 47 stati membri - non ha nulla a che fare con le istituzioni dell'Unione europea. È un'organizzazione internazionale indipendente nata con la finalità di promuovere la democrazia, i diritti umani, l'identità culturale e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali in Europa.