Il direttore della comunicazione di Erdogan, Fahrettin Altun, ha definito imminente l'attacco al nord della Siria da parte delle forze dell'esercito turco e di quelle dell'esercito Siriano Libero (ESL), milizie che, in base a quanto riportano i curdi, sono costituite da gruppi jihadisti e/o di estrema destra, già responsabili di gravi violazioni dei diritti umani nella regione di Efrin.

Altun ha poi aggiunto che lo stesso Trump avrebbe acconsentito a trasferire alla Turchia la responsabilità delle operazioni contro l'Isis, pertanto le forze curde dell'YPG dovranno passare sotto il controllo della Turchia, altrimenti l'esercito turco agirà contro di loro.

Altun ha poi riferito che nella zona occupata saranno "volontariamente" (da notare tutta la tragica ironia dell'avverbio) insediati almeno due milioni di profughi siriani. Inoltre, se tale zona dovesse essere allargata fino a Deir ez-Zor, allora i profughi potrebbero diventare tre milioni, numero che potrebbe includere anche profughi attualmente ospitati in Europa.

Evidentemente, in questo modo Erdogan pensa di mietere consenso per la sua invasione da parte delle forze politiche che in Europa fanno della lotta a migranti e profughi la bandiera della loro propaganda elettorale.

La "zona di sicurezza", così definita dai turchi e oggetto dell'imminente invasione, è un'area che si estende per 32 km all'interno dei 480 km di confine che separano il sud della Turchia dal nord della Siria.

Martedì notte sono stati avvistati convogli composti da camion, mezzi corazzati e carri armati diretti verso la città di frontiera turca di Akcakale.

Nel frattempo, l'Amministrazione Autonoma della Siria del nord e dell'est, che coordina le attività nell'area delle regioni occupate in prevalenza da curdi, ha proclamato la mobilitazione in tutte le città controllate, invitando la popolazione a muoversi in direzione del rispettivo confine di competenza e di opporre resistenza:

"Facciamo appello ai popoli del Kurdistan e di tutto il mondo perché rispondano alla loro responsabilità di fronte a questo Paese e scendano nelle strade".

Contemporaneamente le autorità curde si appellano anche alla comunità internazionale per evitare quella che, prevedibilmente, può diventare una nuova crisi umanitaria.