60 anni fa, il 12 aprile 1959, all'ospedale di Cremona moriva don Primo Mazzolari, parroco di Bozzolo, che poche settimane prima era stato ricevuto in Vaticano da Giovanni XXIII che lo aveva accolto con un abbraccio, definendolo "la tromba dello Spirito Santo in terra mantovana".

Chi è stato don Primo Mazzolari? Un prete, ma anche un partigiano.

Di origine contadina, Primo Mazzolari divenne sacerdote nell'agosto del 1914 e partecipò alla prima guerra mondiale come cappellano dei soldati che combattevano in prima linea, dove era stato mandato su sua espressa richiesta.

Finita la guerra, andò a prestare la sua missione tra i braccianti (soprattutto socialisti) della riva sinistra del Po, a Bozzolo e a Cicognara.

Lì iniziò la sua resistenza al fascismo, dopo che fu testimone delle scorribande squadristiche delle bande fasciste di Roberto Farinacci, divenendo ben presto, quello che è stato definito "un prete scomodo". Così don Mazzolari si rifiutò di esporre il tricolore in occasione della marcia su Roma; respinse il "pressante" invito a cantare il "Te Deum" nella sua chiesa quando Mussolini sfuggì all'attentato del 1925; non volle partecipare alla farsa elettorale del 1929.

Risultato? Don Mazzolari acquistò grande prestigio tra i democratici, le incomprensioni con gli altri preti crebbero e, soprattutto, crebbe l'odio dei fascisti che – oltre a sollecitarne l'invio al confino, per le sue prediche e per i suoi articoli sui giornali – arrivarono anche a prendere a rivoltellate la canonica.

Don Primo, naturalmente, dovette vedersela anche con il Santo Uffizio, che lo sospese dalla celebrazione della Messa e dalla predicazione, dopo la pubblicazione di "La più bella avventura", una riflessione sul Figliol prodigo in cui teorizzava una "rivoluzione cristiana" in una convivenza secondo giustizia, nella quale doveva realizzarsi l'egualitarismo economico.

Dopo l'8 settembre del 1943, don Mazzolari partecipò attivamente alla lotta di liberazione, portandovi quei giovani che erano cresciuti al suo fianco. Finì per essere arrestato dalla polizia, ma venne rilasciato. Visse in clandestinità fino al 25 aprile del 1945, salvandosi dai fascisti che avevano deciso di eliminarlo, come già avevano fatto ventidue anni prima, nel Ferrarese, le squadre di Italo Balbo con il suo amico don Giovanni Minzoni.

Nei mesi in cui visse nascosto, don Primo, insieme ad altri testi per alimentare la Resistenza, ebbe modo di scrivere "La rivoluzione cristiana", un libro nel quale erano tracciate le linee guida dell'impegno cristiano nell'Italia democratica.

Con la riacquistata libertà, don Primo Mazzolari cominciò a lavorare a fianco della Democrazia cristiana divenendo, dopo il 18 aprile del 1948, la coscienza critica del partito cattolico.

Nel 1949 iniziarono le pubblicazioni di "Adesso", un giornale ideato da don Mazzolari per dare spazio alle "avanguardie cristiane". Il foglio ebbe non pochi problemi, sia con il governo che con le gerarchie ecclesiastiche, tanto che lo si accusò anche di essere finanziato dai comunisti.

Dopo la Liberazione l'ANPI di Cremona riconobbe al sacerdote, a pieno titolo, la qualifica di partigiano.


Perché è necessario ricordare don Primo Mazzolari? Perché oggi, a rappresentare le istituzioni democratiche dell'Italia, che si basano su una Costituzione nata dalla lotta al fascismo, c'è l'ennesimo ministro che dichiara di non voler celebrare il 25 aprile, perché lui ha di meglio da fare... combattere la mafia.

Come se la lotta alla mafia non fosse "una battaglia – come ci testimonia continuamente Don Luigi Ciotti – condotta giornalmente con passione e impegno da magistrati, forze dell'ordine, giornalisti e sacerdoti", e che invece il ministro dell'Interno Salvini vuole trasformare in "uno strumento retorico da usare per non onorare con il dovuto rispetto l'antifascismo e la lotta partigiana" (Carla Nespolo – Presidente nazionale ANPI).

C'è ancora qualcuno che pretende di affermare che il sovranismo non sia sinonimo di fascismo?