La Rivoluzione Francese è un fenomeno complesso, di cui gli storici hanno dato interpretazioni diverse e in qualche caso contrastanti. Nonostante sia durata pochi anni, è caratterizzata da un’evoluzione rapida e stratificata, e quindi si articola al suo interno in diversi periodi. Segna, al grido di “liberté, égalité, fraternité”, una svolta decisiva, sia per la Francia, sia per la civiltà mondiale tout court.

E’ la fase iniziale di un processo irreversibile, che porterà all’abbattimento dell’Ancien Regime e all’affermazione di una società amministrata e diretta dalla borghesia, la cui ascesa consentirà il passaggio dal feudalesimo al capitalismo. Il sistema delle vecchie classi dominanti, sordo alle novità portate dall’Illuminismo, aveva ormai fatto il suo tempo ed era destinato a scomparire a causa delle rivendicazioni sociali ed economiche della borghesia, la classe sociale che ormai controllava gran parte della produzione economica.

L’esperienza della rivoluzione americana del 1776 era servita da insegnamento e da stimolo per la borghesia europea poiché aveva attuato l’idea di libertà, di uguaglianza e di controllo dei governati sul governo. La Francia era un grande paese con un esercito forte e aveva raggiunto un alto livello culturale. Tutto questo, però, non aveva portato a quelle riforme sperate, che erano iniziate negli altri stati europei. La stessa Austria, una delle roccaforti dell’Ancien Regime, si era sforzata di rendere lo Stato più efficiente. Soltanto la Francia, nella seconda metà del ‘700 si era mostrata insensibile al bisogno riformistico. Era stata la politica inetta del regime assolutistico francese a far sì che l’Ancien Regime, di crisi in crisi, precipitasse nel collasso totale.

La società francese era divisa in tre ordini o stati: clero, aristocrazia e il terzo stato che raggruppava banchieri, artigiani, contadini e costituiva il 98% della popolazione. Le tasse erano a carico del solo terzo stato.   La situazione d’instabilità politica regnante in Francia porta alla riunione degli Stati Generali composta dai rappresentanti dei nobili, del clero e del terzo stato. Visti i risultati raggiunti, i rappresentanti del terzo stato decidono di trasformare l’assemblea degli Stati Generali in Assemblea Nazionale.

Il Re, indignato, decide di chiudere la sala delle riunioni e l’Assemblea Nazionale si trasferisce nella sala della pallacorda e giura di non uscire da lì finché la Francia non avrà una Costituzione. Nasce così l’Assemblea Costituente. Lo scontro tra il re Luigi XVI e l’Assemblea è inevitabile.

Il popolo intenzionato a non correre il rischio di un ritorno al vecchio regime ed esasperato dalle condizioni di miseria e dai prezzi sempre più alti dei generi alimentari, decide di agire con la forza. La rivolta culmina con la presa della fortezza della Bastiglia il 14 luglio 1789. Viene distrutto uno dei simboli del potere monarchico.

Le varie fasi della rivoluzione francese, quella girondina, giacobina e termidoriana rilevano come il movimento era variamente interpretato. La concentrazione delle risorse della neonata repubblica nella guerra aveva portato i capi dell’esercito ad acquistare il peso che aveva schiacciato la classe politica civile: i generali, sollecitati a più riprese a salvare la repubblica, avevano finito, con Napoleone Bonaparte, per esserne i nuovi sovrani. Si è passati quindi, dall’assolutismo monarchico al regime napoleonico che si autoproclama imperatore. Però le conquiste fondamentali non sono cancellate, il feudalesimo resta abolito, al governo viene messo personale politico nuovo,  proveniente dalla borghesia delle professioni e talvolta da ambienti modesti. In più sono portate a termine la riorganizzazione dell'istruzione, le codificazioni del diritto e con il concordato si raggiunge la pacificazione religiosa.

La rivoluzione per antonomasia porterà una serie di cambiamenti epocali. Per quanto riguarda l’economia, si pongono le basi per uno sviluppo del capitalismo grazie alla soppressione dei monopoli e delle dogane interne, alla liberalizzazione degli scambi commerciali e all’abolizione di associazioni, padronali e operaie, considerate un ostacolo alla libera iniziativa. Nelle campagne, i contadini strappano dalla terra le ultime radici del feudalesimo e conquistano la libertà personale e l’uso libero delle proprietà.  

La “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” del 1789 è il documento più importante della rivoluzione francese e rappresenta ancora oggi un fondamentale caposaldo per ogni società liberale e democratica. Il valore di questo documento risiede nell’universalità dei principi affermati, s'ispira agli ideali dell’Illuminismo e fa tesoro della Dichiarazione d’Indipendenza americana, di appena tredici anni prima.

Tutti i governi, che si sono succeduti in Francia dal 1789 in poi, hanno dovuto riconoscere e garantire in maniera più o meno completa i principi giuridici della Dichiarazione. La rivoluzione inoltre, contribuisce a diffondere in Europa, oltre ai principi di uguaglianza e di libertà, anche una nuova idea di nazione. I criteri rivoluzionari e liberali, infatti, accendono ovunque sentimenti nazionali e d’indipendenza politica, ispirando le idee di democrazia che sono alla base dell’epopea risorgimentale.