Ritiratosi dall’insegnamento “attivo”, Amerigo Ciervo, (Moiano,Benevento 1952),fino allo scorso anno tra le colonne portanti del Liceo classico Pietro Giannone di Benevento come insegnante di filosofia e storia ,tra i pionieri in Campania della ricerca etnomusicologica con “i Musicalia”, presidente dal 2016 del comitato provinciale dell’ANPI ,autore di numerosi saggi e ricerche  storico-antropologiche, traccia un bilancio ideale della sua esperienza di educatore con uno sguardo critico ma mai disilluso sulla scuola. 

Si intitola “Storie del tempo liberato. Scritti sparsi sulla scuola e altri amori” il suo ultimo libro edito da Delta3.


Il tempo liberato è il suo? 
No. E’ il tempo della scuola così come io l’ho intesa sempre e come continuo ad intenderla. Ovviamente in opposizione radicale a quello che la scuola è diventata negli ultimi trent’anni. 

Il libro sottende a una critica nemmeno tanto velata alla attuale situazione scolastica messa in discussione nel metodo da chi ha conosciuto le diverse declinazioni dell’insegnamento e che mal accetta certe imposizioni provenire dall’alto di ordine burocratico .E dunque per cambiare i costumi degli Italiani, sarebbe necessaria una riforma della scuola, che ha tradito la sua missione come tempo liberato? Certo. La scuola è ormai un luogo dove non si  liberano più né si  sviluppano energie creative, dove non  si conquista più la “parola” sicché non è più possibile  diventare liberi, autonomi, dotarsi di pensiero critico e,  soprattutto,  con le conoscenze e le competenze, non superare né  annullare le disuguaglianze socio-economico-culturali. La scuola è ritornata ad essere lo specchio più fedele della società e non il  luogo dove progettare il  cambiamento, anche radicale,  delle vite e delle condizioni delle persone, di tutte le persone che la abitano. Certamente non basterà una riforma sia pure profonda della scuola. Ma una scuola meno ingessata, meno burocratizzata, meno appiattita su taluni canoni che molto successo  hanno avuto (e forse continuano ad avere) potrebbe fare molto in vista di una trasformazione dei costumi degli italiani.

La possibilità di un mondo migliore con una scuola migliore? Nella prefazione di Nicola Sguera lei viene definito un parresiasta.. Il libro, e’ diviso in tre parti. Lei, a proposito della prima scrive “È possibile che un epistolario aiuti a uscire dal nascondimento la persona. Di certo ne racconta una fetta di mondo”. Ebbene quanti ha tirato fuori dalla caverna adattando il Mito stesso ai tempi correnti? Nonostante tutto, non ho perduto la speranza. Che è l’unico elemento vitale (o, se vogliamo, in senso cristiano, l’unica virtù) che dovremmo cercare di non disperdere e di curare con amore e rigore. La “Marta” dell’epistolario è personaggio inventato, ovviamente. Diciamo che vorrebbe rappresentare idealmente tutte le studentesse e tutti gli studenti con cui ho condiviso brandelli di esistenza. I ragazzi e le ragazze apprendono, ma sono anche occasioni di insegnamento per noi. Non so quanti di loro sono usciti dalla caverna. Quello che ho cercato di fare è di insegnare loro a tirarsi fuori da sé dalla caverna platonica. La liberazione vale se tu partecipi in prima persona  a liberarti. Il maestro può indicarti certi aspetti, ma dalle catene devi scioglierti tu. Con i tuoi mezzi e i tuoi strumenti.    

Nella seconda parte “Altri amori”, parla delle sue tante passioni ,a partire naturalmente dalla filosofia, passando per i ricordi legati ai Musicalia, il racconto dei miti, fino a giungere a quella del calcio in un capitolo intitolato “Platone e Totti”. Può spiegare cosa hanno in comune? Il racconto degli amori della propria vita, ovvero delle tante esperienze che mi hanno entusiasmato – dalla scuola alla ricerca etnomusicologica, dalla filosofia ai concerti, da Totò al calcio – coincide con il bisogno di spiegare come sia possibile interrogarsi sul  senso della vita utilizzando anche elementi solitamente considerati poco adatti, perché magari considerati dentro a una   cultura  giudicata“bassa”, in opposizione alla cultura “alta”, ufficiale. La cultura delle accademie. In realtà riflettendo sul calcio o su taluni passaggi della cinematografia di Totò è possibile accedere a  delle verità per arrivare alle quali i sentieri tradizionali della razionalità potrebbero apparire interrotti.     

Sempre nella seconda parte del libro, fa sorridere la sua definizione di Pulcinella come santo patrono della filosofia.Invece la cosa è piuttosto tragica. Nietzsche afferma che “tutto ciò che è profondo ama la maschera”. E, per noi, la maschera di Pulcinella è la rappresentazione più significativa  di un mondo altro, “ultraterreno”. E, se per  Platone la filosofia è essenzialmente  “apparecchio di morte”, si capisce bene come la maschera della città più greca d’Italia, e, quindi, della città più filosofica, diventi automaticamente il santo patrono della filosofia. E’ un gioco. Ma nulla  sembrerà più serio di un gioco.

Potrebbe citare qualche sua massima filosofica? La frase che Pulcinella ripete sempre; “e pecché?” è la frase del filosofo il cui compito non è tanto dare delle risposte, quanto quello di porsi delle domande logicamente fondate. E perché? di Pulcinella fa il paio con il “tì estì” di Socrate.    

La terza parte è dedicata ai ricordi di vita, di Natali passati, di personaggi della sua Moiano. Può raccontare la storia di uno di essi?Non te ne racconterò nessuno, così probabilmente si venderà qualche copia in più… Ovviamente scherzo. L’idea parte da una frase di Ernesto de Martino, il grande antropologo napoletano di Sud e magia e de la Terra del rimorso:  Solo possedendo un  proprio villaggio della memoria si potrà diventare cittadini del mondo. Le nostre piccole esperienze, certi personaggi delle nostre esistenze minute, taluni ricordi divertenti o commoventi, possono essere condivisi e  possono divenire paradigmi comuni per comprendere meglio noi stessi e il mondo che ci circonda.

Grazie  di cuore caro Professore.