Ricchi e Poveri. Ma non stiamo parlando del noto gruppo musicale, bensì della società di oggi che vede da un lato i ricchi, sempre più ricchi, e dall'altro i poveri, tanti poveri, sempre più poveri. Nel nostro Paese, come in molti altri, la disuguaglianza economica continua a crescere, creando un abisso tra chi detiene enormi ricchezze e chi fatica ad arrivare a fine mese. Se da un lato ci sono imprenditori onesti che contribuiscono al benessere collettivo, dall’altro, la ricchezza concentrata nelle mani di pochi e l’evasione fiscale dilagante alimentano un sistema sempre più ingiusto. Ne parliamo con Gregorio Scribano, opinionista politico ed esperto di comunicazione, che da anni si occupa di politiche economiche e sociali.

Dottor Scribano, negli ultimi decenni il divario tra ricchi e poveri è diventato sempre più marcato. Quali ritiene siano le cause principali di questa crescente disuguaglianza?

La principale causa della disuguaglianza economica risiede nel funzionamento stesso del sistema economico vigente. È un sistema che premia i più ricchi e penalizza chi vive di reddito da lavoro.
Le politiche fiscali sono inadeguate: il carico fiscale che grava sui lavoratori dipendenti e pensionati è sproporzionato rispetto a quello che pagano i super-ricchi. Da un lato, chi detiene grandi patrimoni ha l’opportunità di eludere il fisco attraverso le scappatoie offerte dai paradisi fiscali, mentre dall’altro i lavoratori, che non possono nascondere i loro redditi, sono i più tartassati. In questo scenario, il sistema fiscale non solo è inefficace nel riequilibrare le risorse, ma finisce per favorire un’élite privilegiata.
Le politiche salariali sono anch'esse profondamente ingiuste: le disuguaglianze tra i vertici e le basi della piramide lavorativa si ampliano sempre di più. Se una figura di alto livello, come un amministratore delegato o un proprietario d'impresa, guadagna centinaia di milioni di euro, è difficilmente giustificabile che i dipendenti, che contribuiscono quotidianamente al successo e alla ricchezza dell'impresa, ricevano retribuzioni di poche centinaia di euro al mese. Questo divario salariale non è solo una questione di equità economica, ma anche di giustizia sociale.

E allora come far fronte all'attuale emergenza salariale?

Da un lato, chi ricopre ruoli dirigenziali o di gestione accumula enormi profitti, spesso a seguito del lavoro di migliaia di persone che non vedono riflesso il loro impegno in salari proporzionati. Le disparità retributive, soprattutto in grandi aziende multinazionali, diventano una vera e propria condanna per chi lavora con fatica ma senza la possibilità di vedere un miglioramento sostanziale delle proprie condizioni. Dall’altro lato, un compenso esorbitante per una sola persona è anche un segno di inefficienza nel sistema economico, dove una piccola parte della popolazione accumula ricchezze enormi mentre la maggioranza fatica a sbarcare il lunario.

In un sistema più giusto, le politiche salariali dovrebbero premiare il contributo collettivo al successo aziendale. Ogni lavoratore, che si tratti di un impiegato in ufficio, di un operaio in fabbrica o di un venditore, contribuisce con il proprio impegno alla crescita dell'impresa. Non è quindi accettabile che un dirigente o un azionista intaschi profitti miliardari mentre chi sta alla base della piramide riceva retribuzioni insufficienti a garantire un tenore di vita dignitoso. Una distribuzione più equa delle risorse aziendali favorirebbe una maggiore motivazione tra i lavoratori, portando anche a una produttività più alta e, probabilmente, ad un ambiente di lavoro più collaborativo.

Inoltre, la crescente disparità salariale ha un impatto negativo non solo sulle persone direttamente coinvolte, ma sull'intera società. Le disuguaglianze economiche favoriscono l'instabilità sociale, aumentano il malcontento e la sfiducia nei confronti delle istituzioni e delle aziende stesse. Se, da un lato, è necessario che le imprese siano redditizie per sostenere la crescita economica, dall’altro è fondamentale che non si perdano di vista i valori della giustizia sociale e dell'equità.

Molti parlano anche della necessità di una riforma fiscale per ridurre la forbice tra ricchi e poveri. In che modo una riforma fiscale potrebbe davvero fare la differenza?

La riforma fiscale deve essere progressiva, mirata a far sì che chi ha di più contribuisca in maniera più equa. Ad esempio, aumentare la tassazione sui patrimoni molto elevati, sulle plusvalenze e sulle rendite finanziarie sarebbe un passo importante. Oggi, chi possiede grandi capitali trova modi per nascondere il proprio reddito attraverso strumenti legali come i paradisi fiscali. Non possiamo continuare a tollerare che i più ricchi riescano a sfuggire all’imposizione fiscale, mentre i lavoratori, che non hanno alternative, sono pesantemente tassati. Una riforma che preveda sgravi per chi guadagna meno, incentivando il consumo interno, avrebbe anche effetti positivi sull’economia, stimolando la domanda e aumentando la produttività.

Un altro tema molto discusso è quello del welfare. Come dovrebbe evolvere il sistema di protezione sociale in Italia per rispondere alle crescenti disuguaglianze?

Il welfare in Italia dovrebbe evolversi verso un modello inclusivo e universale. Oggi il sistema di welfare è troppo frammentato e, a volte, inefficace. Il reddito di base garantito potrebbe essere una soluzione interessante per garantire a tutti i cittadini un livello minimo di sussistenza, riducendo la povertà assoluta e contribuendo a una maggiore equità sociale. Oltre a questo, è fondamentale che il sistema di welfare promuova la dignità del lavoro, incentivando politiche attive per l’occupazione, l’educazione e la formazione. Garantire accesso universale alla sanità di qualità, alla formazione e a opportunità lavorative è essenziale per ridurre le disuguaglianze e dare a tutti pari opportunità di successo.

Lei ha sempre parlato dell'importanza della responsabilità sociale delle imprese. Come possono le aziende contribuire concretamente alla lotta alle disuguaglianze?

Le imprese hanno un ruolo cruciale in questa partita. Il loro successo non può essere disgiunto dal benessere della collettività. Come ho già detto, è fondamentale che le aziende adottino politiche salariali giuste, che garantiscano condizioni di lavoro dignitose e che non vengano sfruttati i lavoratori a basso reddito. Inoltre, le imprese devono fare di più per investire nelle comunità in cui operano, attraverso iniziative sociali, culturali e ambientali che abbiano un impatto positivo. La ricchezza che le aziende generano non deve essere solo nelle mani della proprietà, ma deve essere distribuita in modo che anche i dipendenti possano beneficiarne. Una retribuzione equa e politiche aziendali responsabili sono passi fondamentali per ridurre la disuguaglianza sociale ed economica.

In conclusione, quale futuro ci aspetta se non si interviene prontamente per colmare il divario tra ricchi e poveri?

Il futuro che ci attende è un futuro di crescente instabilità sociale ed economica. Un sistema che premia i più ricchi e penalizza i più poveri è destinato a entrare in crisi. La mancanza di una distribuzione equa della ricchezza non è solo ingiusta, ma rischia di minare le fondamenta stesse dell’economia, portando ad una contrazione dei consumi, alla stagnazione della produttività e ad un crollo del benessere collettivo. Se non interviene una riforma profonda e strutturale, l’Italia, come altre democrazie, potrebbe affrontare una vera e propria crisi di sistema. È fondamentale che la politica prenda in mano la situazione, rafforzando il welfare e riformando il sistema fiscale in modo che sia giusto per tutti, senza lasciare indietro nessuno.

Grazie per la sua analisi lucida e per le soluzioni che ci ha proposto.

Grazie a voi per l’opportunità di parlare di temi così rilevanti. La lotta contro la disuguaglianza è una delle sfide più urgenti del nostro tempo. Solo con un impegno collettivo e un cambiamento profondo delle politiche fiscali e sociali potremo costruire una società più giusta e prospera per tutti.