Esteri

Ma siamo sicuri di dover far festa se le multinazionali pagheranno le tasse con un'aliquota del 15%?

Per non lasciar spazio ad interpretazioni di sorta, riprendo dall'Ansa alcune dichiarazioni a commento sull'accordo trovato ieri dai ministri delle Finanze del G7 nell'ultimo incontro preparatorio allo svolgimento della riunione del G7 della prossima settimana, quando ad incontrarsi saranno premier e capi di Stato. Qual è stato l'argomento clou su cui si è trovata un'intesa, poi tanto strombazzato dai media? L'aver definito una percentuale di tassazione minima per le multinazionali non inferiore al 15%.

E per l'appunto, secondo quanto riporta l'Ansa, l'accordo raggiunto sarebbe un "un passo storico verso una maggiore equità fiscale", come l'ha definito il presidente del Consiglio Mario Draghi, tutt'altro che scontato in seno allo stesso G7 ancora fino a "tre mesi fa" secondo il commissario Ue Paolo Gentiloni, che ha attribuito l'esito di questo traguardo da lui etichettato come "formidabile" al "cambiamento dell'amministrazione americana" ed al "ruolo personale svolto da Janet Yellen".

In sostanza, come indicato dal comunicato finale della riunione e come spiegato più tardi ai giornalisti anche dal ministro Franco, si tratta di un intesa fondata su "due pilastri": l'introduzione del principio di un'aliquota globale minima del 15% per le grandi imprese, da applicare Paese per Paese in modo da allontanare gli eccessi di concorrenza sleale; e quella di una stretta sull'elusione che dovrebbe riguardare anche e soprattutto i big Usa del tech (non citati espressamente, ma evidentemente compresi fra le multinazionali di spicco) con l'imposizione di tasse sul 20% degli utili oltre la soglia del 10% di profitto da "riallocare nei Paesi in cui si effettuano le vendite". Al netto della domiciliazione nominale in qualunque paradiso fiscale. Un sistema che a regime dovrebbe portare miliardi di euro in più nelle casse di tanti Stati; costringere colossi come Amazon, Facebook, Google o Microsoft a versare complessivamente di più; e consentire di evitare casi come quello delle 'zero tasse' versate dalla filiale irlandese del gruppo fondato da Bill Gates grazie alla residenza legale (senza un singolo dipendente impiegato) stabilita nelle Bermuda.

In pratica, i Paesi del G7, che cercheranno di "convincere" anche i Paesi del G20 ad accettare l'accordo, vogliono farci credere che con quanto pattuito adesso le multinazionali che si spartiscono la ricchezza globale siano state messe spalle al muro e d'ora in poi  inizieranno a riconoscere alle comunità il costo di ciò che finora avevano usufruito e sfruttato senza pagare.

Ma è proprio così? Secondo l'Oxfam, la confederazione internazionale di organizzazioni non profit che combattono la povertà in tutto il mondo, la risposta è no!

In una nota Gabriela Bucher, direttore esecutivo di Oxfam International, ha dichiarato: 
 
«È ora che alcune delle economie più potenti al mondo impongano alle multinazionali, comprese quelle dei giganti dell'HiTech e del settore farmaceutico, di pagare la loro giusta quota di tasse. Tuttavia, un'aliquota minima globale dell'imposta sulle società di appena il 15% è troppo bassa. I suoi effetti saranno minimi sia per porre fine alla dannosa corsa al ribasso delle imposte pagate dalle società che per ridurre il numero di paradisi fiscali. È assurdo che il G7 affermi che sta rivedendo un sistema fiscale globale che non funziona, stabilendo un'aliquota minima globale per l'imposta sulle società simile alle aliquote agevolate praticate da paradisi fiscali come Irlanda, Svizzera e Singapore. In un mondo afflitto dalla pandemia, in un momento di così disperato bisogno di risorse, il G7 ha visto i bilanci di alcune aziende esplodere a causa dell'enorme crescita dei loro profitti e ha volto lo sguardo da un'altra parte. Il G7 non è riuscito a spianare la strada ad interventi utili a riempire le casse dei governi devastate dal Covid e a sostenere le persone in tutto il mondo con la promessa di migliori servizi pubblici, posti di lavoro e opportunità future. Il G7 ha avuto la possibilità di stare al fianco dei contribuenti. Hanno scelto invece di stare al fianco dei paradisi fiscali. Fermare l'esplosione della disuguaglianza causata da Covid-19 e affrontare la crisi climatica sarà impossibile se le aziende continueranno praticamente a non pagare alcuna tassa. Porre fine alla dannosa corsa al ribasso relativa alle imposte pagate dalle società e ridurre l'uso diffuso dei paradisi fiscali richiede un'aliquota fiscale minima globale più alta. Il 21% indicato dal presidente Biden, sebbene lontano dall'essere sufficiente, era la percentuale proposta inizialmente, ma alcuni Paesi europei, impegnati a preservare i propri paradisi fiscali, hanno difeso ferocemente un livello di tassazione ancora più basso. Questo non è un accordo equo. Allo stato attuale, questo patto fiscale mediato dall'alto da soli sette Paesi, in vista dell'accordo globale previsto entro l'estate, andrà a vantaggio in modo schiacciante dei Paesi ricchi e aumenterà la disuguaglianza. Miliardi di dollari di entrate perse ogni anno nei paradisi fiscali confluiranno nei Paesi ricchi dove hanno sede la maggior parte delle grandi multinazionali come Amazon e Pfizer, indipendentemente dal fatto che le loro vendite e i loro profitti siano effettivamente realizzati nei Paesi in via di sviluppo. Il G7 non può pretendere che la maggior parte dei Paesi del mondo accetti le briciole». 
Ma quanto dovrebbero pagare le multinazionali? Qual è la percentuale minima che sarebbe dovuta? Secondo i principali economisti e secondo le organizzazioni della società civile, inclusa la Commissione indipendente per la riforma della tassazione internazionale delle società (ICRICT), l'aliquota minima globale che le multinazionali dovrebbero pagare dovrebbe essere del 25% .  

Nel maggio 2019, una commissione congiunto OCSE/G20 sull'erosione della base imponibile e il trasferimento dei profitti (BEPS) ha lanciato una proposta di riforme fiscali per affrontare l'elusione fiscale da parte delle multinazionali nell'era digitale. Quasi 140 Paesi stanno partecipando ai negoziati. Il pacchetto di riforma comprende due pilastri, il primo relativo alla distribuzione dei diritti di imposizione e il secondo relativo ad un'aliquota minima globale delle imposte pagate dalle società. Il G20 dovrebbe raggiungere un accordo nel luglio 2021.  
 
I Paesi in via di sviluppo, che generalmente hanno aliquote nominali più elevate per l'imposta sulle società, hanno presentato numerose proposte nell'ambito dei negoziati guidati dalla commissione OCSE/G20. Poche settimane fa, a nome di 38 Paesi africani, l'African Tax Administration Forum (ATAF) ha presentato una proposta per affrontare le disuguaglianze globali nella distribuzione dei diritti di tassazione. Anche il G24 ha presentato proposte dettagliate nel corso dei negoziati, chiedendo un sistema fiscale più equo.  

E adesso vediamo, secondo l'Osservatorio fiscale europeo, quanto sono le differenze di tassazione, in termini di entrate fiscali per i vari Stati tra le varie aliquote, in un range dal 15% al 30%, in base alla seguente tabella, pubblicata dal suo coordinatore, l'economista Gabriel Zucman, coordinatore dell'Osservatorio fiscale europeo e professore associato presso l'Università di Berkley...

Quindi, in base all'euforia di Draghi, in Europa dovremmo essere soddisfatti perché riceveremo 48,3 miliardi di euro di tasse, invece di 167,8 miliardi se l'imposizione minima fiscale per le multinazionali fosse almeno del 25%. Per non parlare dei 269,7 miliardi nel caso fosse stabilita al 30%.

Adesso, domandatevi se il governo dei migliori e coloro che lo supportano siano realmente dalla parte del popolo. Io qualche dubbio ce l'ho...


Crediti immagine: twitter.com/hmtreasury/status/1401111885668360201

Autore Marzio Bimbi
Categoria Esteri
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