I 28 leader hanno trovato un'intesa sulle conclusioni del Consiglio europeo, inclusa l’immigrazione”, ha annunciato il 29 giugno su Twitter il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk al termine di una maratona notturna per la difficile trattativa. Nella stessa giornata aveva ribattuto il premier italiano Conte: “Da questo Consiglio europeo esce un'Europa più responsabile e più solidale. L'Italia non è più sola”. A distanza di neanche troppi giorni scopriamo, però, che la situazione è ancora molto complicata e che, sul tema migranti, l’intera Unione è più divisa del previsto, i governi nazionali si giocano così, anche e soprattutto, la loro sopravvivenza politica futura proprio sulle decisioni che prenderanno sul tema.

Alla vigilia del summit c’erano stati molti dubbi sul poter riuscire a raggiungere compromessi tra posizioni contrastanti e a volte opposte, poco negoziabili per l’evidente rilevanza nella politica interna dei singoli governi. Leggendo il testo ufficiale delle conclusioni emerge un importante risultato politico di strategia complessiva con un accordo che, però, lascia aperti anche dubbi sulla concretezza e sulla tempistica delle soluzioni concordate, che dovrebbero essere chiariti nelle conferenze stampa dei capi di Stato e di governo.

Di concreto e rapido il governo italiano ha ottenuto soprattutto 500 milioni di euro di fondi Ue per il piano Africa, destinati a tentare di frenare i flussi migratori verso l’Italia tramite il Mediterraneo centrale. In più è stata inserita la promessa di aumentare gli esborsi di Bruxelles per l’emergenza immigrazione nel prossimo bilancio 2021-2027. In cambio il Presidente del Consiglio italiano ha concesso un sostanziale via libera alla seconda tranche da tre miliardi comunitari alla Turchia (sul totale di sei) per bloccare i rifugiati siriani e iracheni diretti principalmente in Germania.

Sulla riforma del regolamento di Dublino, che penalizza Italia, Grecia e Spagna assegnando i rifugiati al Paese di primo arrivo c’è, però, ancora molto da fare e, fondamentalmente, trovare un consenso, per lo più rifiutato sino ad oggi dalla maggioranza dei governi europei (non solo da Paesi dell’Est, ma in gran parte perfino dalla Francia) è qualcosa di imprescindibile per dare una svolta concreta a questa crisi migratoria. Dopo la firma congiunta dell’accordo europeo è lecito ora chiedersi cosa cambi sul tema dell’immigrazione.

Per quanto riguarda il soccorso in mare si vedrà se la Libia riuscirà a esercitare il coordinamento dei soccorsi nelle acque SAR assegnate. Altrimenti dovrà operare l’MRCC di Malta e di Roma. I soccorsi quando non effettuati da motovedette libiche verranno condotti dai mezzi della Marina Militare, della Capitaneria e della Finanza com’è avvenuto fino oltre ai mercantili in transito. Per la destinazione di sbarco dei migranti l’Italia non ha l’obbligo di far sbarcare sul proprio territorio naufraghi recuperati da navi mercantili, mentre tale obbligo sussiste (limitatamente per i richiedenti asilo e per la proibizione del respingimento sinora in vigore).

La Navi militari a cui sono assimilate per legge quelle della Capitaneria e della Finanza (tato e vero che ne battono la Bandiera) sono a tutti gli effetti di legge territorio italiano, mantenendo tale status non solo in acque internazionali ma anche in quelle territoriali degli altri Paesi. Le norme internazionali sul soccorso in mare furono concepite per assicurare il soccorso della vita umana in mare in un contesto diverso dall’attuale del Mediterraneo. Lo sbarco dei naufraghi nel più vicino porto sicuro è stato inserito come duplice garanzia.

Nei confronti delle persone salvate in quanto l’Armatore della Nave che ha effettuato il salvataggio non po’ trattenere a bordo la gente salvata sino alla destinazione della Nave, d’altra parte tutela l’Armatore in quanto non può essere obbligato a dirottamenti eccessivi dal suo itinerario originale. Ai naufraghi una volta sbarcati nel più vicino porto sicuro provvedeva in genere (a seconda della Nazionalità) i loro rispettivi Consolati/Ambasciate per il rientro in Patria e per le altre necessità iniziali. E’ evidente che il problema dei migranti è quindi prima di tutto umanitario e va oltre il diritto internazionale che governa il soccorso in mare.

Il centro di coordinamento del soccorso non è tenuto a indicare quale sia il porto sicuro su cui sbarcare la gente recuperata in mare, trattandosi di una responsabilità dell’armatore e del Comandante della Nave. Sono quindi inappropriate le accuse all’Italia di aver violato la cosiddetta “legge del mare”.

Dove sorgeranno (se ci sarà il via libera dei singoli Paesi Ue) gli «hotspot» per l’identificazione di migranti e richiedenti asilo? Quanti «Paesi terzi» accetteranno di ospitare le piattaforme di sbarco» extra Ue? Tante e troppe domande che lasciano, per ora, più dubbi che risposte.

Il documento riconosce, infatti, una gestione “globale” del fenomeno migratorio, ma propone anche la nascita di centri di prima accoglienza la cui costruzione sia esclusivamente su base volontaria negli Stati membri. Volontaria è anche la redistribuzione dei migranti e non sono previste sanzioni per chi non faccia la sua parte. Nel testo siglato dai 28 è la parola “volontario” ad emergere più spesso. Termine, che riproponendosi infatti su molti aspetti del tema migranti e fortemente voluto dai Paesi del patto di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia), è, appunto, il compromesso che ha trovato tutti d’accordo. O almeno ogni stato vede la sottoscrizione del trattato come una personale vittoria del suo paese, anche quando non è espressamente così. Ed è proprio su quella «base volontaria», di cui si parla nell’articolo 6 dell’accordo, che si alimentano perplessità e critiche.

Un articolo pieno di condizionali che si conclude ribadendo, appunto, che non esistono vincoli di applicazione, ma il solo criterio è la volontarietà. La creazione solo su base volontaria di aree di sbarco dei migranti, rischia, inoltre, di far rivivere per tutta l’estate un braccio di ferro tra i paesi Ue, sulle spalle dei diseredati in fuga da guerre o dalla miseria.

Il documento, pur non citando espressamente i battelli dei volontari delle Ong, sottolinea che «tutte le navi che operano nel Mediterraneo devono rispettare le leggi applicabili e non devono ostacolare le operazioni della Guardia Costiera libica». Contro i trafficanti di esseri umani, dice ancora il testo, l’Unione europea «continuerà a sostenere l’Italia e altri Stati membri in prima linea» e, con ulteriori stanziamenti, «rafforzerà il suo sostegno alla regione del Sahel e alla guardia costiera libica…». A questo, come ha espressamente chiarito il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, si aggiunge la contestuale chiusura dei porti maltesi e italiani per le navi delle Ong che operano il soccorso in mare, nello specifico fra poco, quindi, le unità delle organizzazioni non governative non potranno più rifornirsi di cibo, acqua e carburante nel Mediterraneo centrale. Nel documento finale approvato è infine «passato un nuovo approccio per quanto riguarda i salvataggi in mare: da ora in poi si prevedono azioni basate sulla condivisione e quindi coordinate tra gli Stati membri».

Quella migratoria, come si legge nella premessa dell’accordo, “è una sfida non solo di uno Stato membro, ma di tutta Europa nel suo insieme”. La volontarietà del testo rende l’intesa però, se non aleatoria, almeno tutta da verificare sul campo. I leader europei che si dicono "determinati a continuare e rafforzare" l'azione "per prevenire un ritorno ai flussi incontrollati del 2015 e ridurre ulteriormente la migrazione illegale su tutte le rotte esistenti e nuove”dovrebbero tenerlo bene in mente facendo ognuno la propria parte.

Questa è la lunga analisi del Ammiraglio Giuseppe De Giorgi