Inchiesta "Accoglienza". Alzare l'asticella di umanità, l'opinione di Bruno Menna
Bruno Menna ha cominciato l'attività giornalistica nel 1977, iscritto all'Ordine dal 1980, è professionista dal 1995. Ha collaborato con testate regionali e nazionali e ha curato la comunicazione di enti pubblici e soggetti privati. Da scrittore, ha al suo attivo saggi di ricerca storica, tra cui "1943-1963 Il Ventennio democratico" e "Il dono della libertà", nonché racconti di costume e novelle. In autunno, uscirà, per Edizioni2017, il suo nuovo romanzo. "Le cose che accadono".
Il disagio, le "anime rammendate", la malapolitica producono, oggi, una solidarietà stentata?Mi fa piacere cominciare l'intervista con il richiamo ad alcune delle parole-chiave del mio libro, di prossima uscita, anche se, in verità, riguardano un contesto più ampio. In ogni caso, sono termini e questioni che hanno a che fare anche con le vicende migratorie.
La malapolitica potrebbe essere sia quella che non è saputa andare oltre la doverosa accoglienza, sia quella che ha utilizzato il pur comprensibile disagio a fini elettorali. Le "anime rammendate" si ritrovano tutte nel glossario di questi anni: "Non sono razzista ma...", "Non possiamo accoglierli tutti", "Aiutiamoli a casa loro", "Non fuggono dalla guerra", come se una carestia fosse meno peggio di un bombardamento.Frasi formulari, quasi mai approfondite, che inseguono la peggiore propaganda, quella che impedisce di guardare la realtà con occhio distaccato e informato.
Così come è intollerabile continuare a utilizzare categorie e classificazioni: richiedenti asilo, migranti economici, dublinanti et similia. Si tratta di donne, uomini e bambini "nostri fratelli e sorelle - dice Papa Francesco - "che cercano una vita migliore, lontano dalla povertà, dalla fame e dalla guerra". E la clandestinità, parola orribile, aggiungo io, per tantissimi di loro è una via crucis, non un carico pendente".
Dopo un passato, ossessivo, da invasori si può trovare pace in "un futuro che arriva solo un giorno alla volta"?La disputa è sterile e anacronistica. In realtà non siamo mai stati invasi. Lo dicono, non bastasse il buon senso, i freddi numeri e le algide statistiche.
Da italiani, abbiamo portato e continuiamo a (es)portare energie, intelligenze, creatività e anche criticità in ogni paese del mondo. Parallelamente, abbiamo importato e importiamo energie, intelligenze e criticità, con il rischio di scatenare appetiti e interessi non sempre lodevoli.
C'è, allora, un punto di equilibrio che andrebbe ricercato, con maggior vigore e senza pregiudizi, non fosse altro per disegnare le tracce di una pacifica convivenza e di una ragionevole condivisione di obiettivi, non solo in Italia ma nell'Europa tutta. Perché essere "straniero" è una contingenza, a volte un destino ma non può diventare una condizione perenne. Sul futuro, mi rimetto ad Abraham Lincoln: "Il lato migliore è che arriva un giorno alla volta". Basta saperlo leggerlo e coglierlo.
Come può tradursi l'accoglienza in una reale pratica di integrazione?Non tradurre l'accoglienza in politiche di integrazione è un errore miope e madornale. Penso alla benemerita attività degli Sprar, penso alla denatalità, alla"vecchiezza" del nostro Paese, alle scuole che chiudono per mancanza di bimbi e adolescenti, a tante comunità spopolate e spolpate che potrebbero rinascere con la presenza dei rifugiati, penso a tante attività e professioni che potrebbero essere rilanciate, dall'agricoltura all'artigianato, con la presenza, regolare e regolarizzata, di braccia e menti giovanili.
Lei crede che i problemi termineranno domani, alla luce del decreto sicurezza bis, quando avremo tamponato le emergenze del momento? I decreti-sicurezza sono una schifezza conclamata. E non lo dico solo io. Basterebbe leggere i rilievi del Quirinale e le sentenze dei tribunali e anche quelle della Cassazione. Sono serviti e servono per alimentare l'emergenza e per dare fiato alla campagna d'odio.
Ciò premesso, quel che serve è recuperare uno spirito pubblico che faccia premio dei meriti e delle opportunità e sappia riconoscere e punire gli abusi.
I ragazzi non italiani ma in realtà non del tutto italiani, come lei li definisce, saranno i nostri migliori alleati se a loro sapremo dare certezze, a cominciare dallo ius soli o culturae, nella migliore definizione.
Tutto ciò, oggi, sembra impossibile perché c'è un clima infame, alimentato anche dai social oltre che dai partiti che lucrano sulla malevolenza razziale, costruita a tavolino. Ma non bisogna smettere di lavorare per la ricomposizione e il ritorno alla "normalità", perché la speranza, diceva Kierkegaard, è la passione del possibile".
Veniamo a lavoro. E' luogo comune che gli immigrati ci "rubino il lavoro". Di fatto i giovani rifiutano certi lavori perché poco dignitosi. Lavori che, dati alla mano, vengono svolti da lavoratori stranieri.Sono anch'io convinto che la maggior parte dei migrantes (e non parlo dei tanti, già stabili e stabilizzati, presenti da anni, nel nostro Paese, quelli che contribuiscono al Pil, pagano le tasse e assicurano la tenuta dell'Inps), venga utilizzata per costruire le nuove piramidi del consumismo e della grande distribuzione. Ma non bisogna chiudere gli occhi su quel che accade. Ci sono lavori che gli italiani, per pi˘ ragioni, in molti casi fondate, non fanno e non vogliono fare più. Non mi inoltro in analisi sociologiche, mi limito all'evidenza.
Lo "sfruttamento" dei braccianti stranieri è sotto gli occhi di tutti. Ma ci sono leggi che possono frenare questa deriva, a cominciare dalla repressione concreta del ripugnante fenomeno del "caporalato". Ed è inutile dare sempre e solo la colpa alla politica. Gli Uffici periferici dello Stato e le forze dell'Ordine hanno personale e mezzi per poter intervenire. O c'è bisogno di un provvedimento legislativo ad hoc per fare un'ispezione nelle campagne del Sele, nell'Agro Pontino, nel foggiano o nelle piane calabresi? Quel "sudore della fronte" potrebbe e può ancora diventare occasione di riscatto, dignità e benessere per tutti, incrociando, laddove possibile, offerta e domanda.
Senza dimenticare mai, come ho detto prima, che non si tratta, banalmente di numeri o di "risorse" ma di persone nate in "luoghi" (Africa e Medio Oriente) da cui, purtroppo, spesso, si è costretti scappare, per ragioni climatiche o per conflitti tribali e religiosi che limitano e reprimono il bene pi˘ prezioso, ovvero la libertà.
Mi consenta di chiudere con il riferimento a un salmo ebraico: "Quando Dio raccoglierà tutti gli esuli, saremo come sognatori, come rivoli (nel deserto) del Negev".Ecco, se ognuno di noi alzasse l'asticella d'umanità e la cifra di solidarietà, il mondo, il nostro mondo, sarebbe migliore".