Dopo un'assenza lunga 18 mesi, Giorgia Meloni torna a Palazzo Madama per il "premier time". L'occasione è ghiotta: mostrare i presunti frutti della strategia economica del governo alla luce dei dati Istat del primo trimestre 2025. Occupazione, salari e PIL, secondo la premier, confermerebbero "l'efficacia della strategia" adottata. Ma tra le cifre reali e il racconto politico vì è una frattura che somiglia di più a una voragine.
Meloni, raccogliendo l'assist di Gasparri, che le porge una domanda talmente accomodante tanto da sembrare scritta dallo staff di Palazzo Chigi, dipinge un'Italia che «va molto meglio di quando governavate voi», rivolgendosi ai banchi delle opposizioni. Ma i numeri dicono altro: la produzione industriale è in calo da 25 mesi consecutivi, la cassa integrazione è aumentata del 30% nei primi tre mesi del 2025, i salari reali giù di dieci punti rispetto al 2021 e un PIL fermo allo 0,6%. In più, con il dato di marzo, l'Istat ha certificato anche il crollo degli acquisti alimentari, in volume oltre il 4% in meno rispetto a marzo 2024, segnale allarmante del calo del potere d'acquisto. Dati di cui Meloni non parla.
Nonostante le parole del presidente Mattarella sui «salari inadeguati» e il legame diretto tra crisi economica e denatalità, la premier ostenta ottimismo, vantandosi di aver recuperato 10 miliardi grazie al calo dello spread e promettendo nuovi interventi per il "ceto medio". Nessuna parola, però, su dove troverà le risorse per mantenere queste promesse, mentre gli italiani arrancano.
Sul fronte dell'energia, Meloni rilancia l'accordo per il gas liquido con gli Stati Uniti, liquidando le critiche dell'opposizione come nostalgia filorussa: «Lo facevate anche voi con Biden. Cosa dovremmo fare ora, tornare a comprare gas dalla Russia solo perché ha vinto Trump?». Una battuta che serve a mascherare il vuoto strategico in tema energetico. L'underdog della Garbatella, però, dopo aver promesso a Trump che regalerà altri soldi agli USA acquistando nuove forniture del costosissimo gas liquido americano, si è dimenticata di spiegarci il perché di tale scelta, visto che l'Italia non ne ha bisogno, perché non ha neppure i rigassificatori per poterlo stoccare!
In campo industriale, si lascia andare a un goffo elogio del piano Industria 4.0, dimenticando (o ignorando) che il programma cui si riferisce – Transizione 4.0 – è stato in realtà varato dal governo Conte 2. L'ammissione implicita di voler ridisegnare anche il suo stesso progetto, Transizione 5.0, è interpretata da Patuanelli come un'ammissione di fallimento... denunciato tra l'altro dalle stesse categorie produttive che avrebbero dovuto sfruttare tali finanziamenti.
Meloni rilancia anche sulla spesa militare: portarla al 2% del PIL entro il 2025. Un impegno enorme, che vale circa 10 miliardi di euro, ma senza spiegare da dove intenda tirarli fuori. Volendo esser pignoli, la premier non ha spiegato neppure in qual modo voglia spendere o addirittura conteggiare tali investimenti, tanto che commentatori e opposizioni hanno parlato di trucchi contabili. In un momento in cui l'Istat fotografa famiglie in difficoltà a sostenere anche solo la spesa alimentare, la promessa risuona come un azzardo scollegato dalla realtà. «Vive su Marte», ha riassuno il 5s Conte.
Quanto alla sanità, la premier scarica la responsabilità delle liste d'attesa sulle Regioni, mentre le opposizioni le ricordano che il governo ha varato un decreto "fuffa" che non ha stanziato fondi reali. «Con che faccia mente al Parlamento?», incalza Elly Schlein. Anche dai presidenti delle regioni di destra non sono arrivati applausi.
Non è mancato il tema della riforma della giustizia e quella del premierato, che Meloni continua a definire “la madre di tutte le riforme”, nonostante il progetto sia impantanato da mesi in Parlamento. In aula, afferma anche di voler introdurre le preferenze nella legge elettorale, un'uscita impegnativa che cozza con il "no" secco di Lega e Forza Italia.
Le domande dei senatori del centrodestra sembrano scritte per un comizio: «Ci racconti i successi che l'Italia ha ottenuto sotto la sua sapiente guida». Un assist dietro l'altro, che consente alla premier di ribadire la riduzione degli sbarchi e la linea dura sui migranti. Ma anche qui, i numeri sono ridicolmente modesti: il 25% dei migranti trasferiti in Albania – che tradotto in numeri corrisponde a una decina di persone – sarebbe già stato rimpatriato!
Il ritorno di Meloni in Senato non chiarisce affatto il futuro del Paese. Piuttosto, conferma la distanza crescente tra la narrazione del governo e una realtà economica e sociale che molti italiani vivono sulla propria pelle. La premier continua a recitare il suo copione trionfalista, ma gli spettatori osservano una realtà del tutto opposta a quella da lei propagandata.
Quello di Meloni, in sostanza, è stato un «discorso senza capo né coda, rivolto con convinzione a qualcuno per confonderlo e ingannarlo»... che è la definizione che il vocabolario Treccani dà per "supercazzola".
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