Israele ha voluto ricordare al mondo l'apartheid nei confronti del popolo palestinese anche al funerale di Shireen Abu Akleh
"Siamo rimasti estremamente turbati dalle immagini della polizia israeliana che si intromette nel corteo funebre del palestinese americano Shireen Abu Akleh. Ogni famiglia merita di far riposare i propri cari in modo dignitoso e senza che nulla glielo possa impedire".
L'intrusione farsescamente e ridicolmente così etichettata dal segretario di Stato americano, Antony Blinken, è relativa all'aggressione della polizia israeliana nei confronti delle persone che partecipavano al corteo funebre della giornalista di Al Jazeera, Shireen Abu Akleh, ed in particolar modo nei confronti di quelle che a spalla portavano la bara, tanto da rischiare di farla cadere a terra.
Secondo la stampa israeliana, la polizia dello Stato ebraico è intervenuta perché i palestinesi hanno cercato di portare a spalla la bara di Shireen Abu Akleh dal Saint Joseph's Hospital, che si trova nella Città Vecchia, addirittura sventolando diverse bandiere palestinesi. La polizia, invece, aveva stabilito che la processione avrebbe dovuto iniziare alla Porta di Giaffa, a un paio di chilometri di distanza.
E allora, per tale motivo, giù botte, spinte, calci, manganellate e granate stordenti sulla folla, anche nei confronti di coloro che trasportavano la bara di Abu Akleh, che è quasi finita per terra.
La polizia in seguito ha detto che le persone nei pressi della bara avevano lanciato pietre e oggetti contro gli agenti durante "rivolte violente" e che manifestanti avevano sequestrato la bara contro il volere della famiglia di Abu Akleh, cosa che gli agenti avevano cercato di impedire.
"Gli agenti hanno dovuto disperdere e respingere i rivoltosi ed effettuare arresti per consentire lo svolgimento del funerale",
ha affermato la polizia israeliana in una dichiarazione, aggiungendo che sei persone erano state arrestate.
In una intervista alla BBC, il fratello di Abu Akleh, ha detto che la famiglia e le persone che partecipavano al funerale speravano di poter tenere una "piccola processione", ma sono stati attaccati dalla polizia mentre lasciavano l'Ospedale.
"Speravamo di poter fare una piccola processione dall'ospedale alla chiesa e poi al cimitero. Sfortunatamente nel momento in cui abbiamo iniziato a uscire dall'ospedale siamo stati attaccati da diversi poliziotti israeliani, per niente. Stavamo appena lasciando l'ospedale per andare in chiesa. Siamo rimasti scioccati nel vederli iniziare a picchiare le persone, lanciare granate assordanti, gas lacrimogeni. Tutto questo non possiamo spiegarlo. Questo è successo senza alcuna spiegazione".Il fratello della giornalista uccisa ha anche affermato che prima del funerale, le autorità israeliane avevano chiesto loro di fornire il numero esatto di persone in lutto previste, nonché le loro identità.Volevano conoscere i numeri esatti, ma non siamo stati in grado di fornirli. Volevano sapere chi avrebbe partecipato, quante persone ci aspettavamo al funerale. Gli è stato detto chiaramente che non siamo in grado di conoscerne i numeri. Questo funerale è stato per tutto il popolo palestinese, non solo per la famiglia o gli amici di Shireen. Le hanno reso omaggio per ciò che ha fatto per la Palestina, per i suoi resoconti in un periodo lungo 25 anni".
Persino uno strenuo difensore dell'apartheid israeliano come il democratico Emanuele Fiano ha definito "addirittura" ingiustificabile l'accaduto: "La violenza che ho visto oggi da parte dei poliziotti israeliani su chi portava la bara della giornalista palestinese Shireen Abu Akleh al suo funerale a Gerusalemme non può avere giustificazione. È stato disonorato il dolore di un funerale e questo è inaccettabile".
Invece, per gli attivisti a supporto dell'apartheid israeliano, quanto accaduto è da considerarsi dovuto. Questo è quanto scrive Fiamma Nirenstein:
"... il fatto che i poliziotti israeliani, anche loro investiti dalla rabbia della folla, hanno cercato di togliere la bandiera palestinese dalla bara della giornalista uccisa e di mantenere l'ordine allontanando gli attivisti più agitati. I poliziotti hanno voluto bloccare l'uso della bandiera palestinese come vessillo pubblico di lotta sul territorio israeliano [l'ospedale si trova a Gerusalemme est, ndr] e così facendo sono venuti a uno scontro che ha sconvolto il corteo e quasi rovesciato la bara. Uno spettacolo molto spiacevole e triste, la bara è oggetto sacro che deve restare a disposizione solo del dolore e non della politica e tantomeno della violenza. Ma è stata gigantesca l'utilizzazione della morte della giornalista come bandiera strategica di odio anti-israeliano da Gerusalemme a Jenin, mentre le autorità palestinesi rifiutano di condividere una ricerca effettiva. La richiesta viene fatta con umiltà fin troppo evidente da parte delle autorità israeliane. Ma, appunto, perché mai i palestinesi dovrebbero accettare, dato che la battaglia l'hanno già vinta sui media e sul territorio? Tutti i dati di fatto vengono rifiutati dal giornalismo che accetta la narrativa anti-israeliana, ignora quanti terroristi sono usciti da Jenin e la necessità di agire per garantire la sicurezza dei cittadini israeliani. La giornalista di al-Jazeera è caduta come molti altri purtroppo, sulla linea del fuoco, ed è terribile. Israele è il Paese che più di ogni altro vuole sapere la verità, dato che tutti comunque lo accusano, e anche eventualmente, se per caso fosse colpevole, userebbe, giusto o sbagliato che sia, le sue leggi e i suoi severi tribunali, come ha sempre fatto, persino contro i suoi soldati. I palestinesi, certamente no. In ogni caso, la povera giornalista è stata uccisa, e quello che abbiamo visto ieri più che un funerale è stato l'inizio di una guerra di immagine e di forza".
I coloni, i poliziotti e i soldati israeliani, giornalmente commettono ogni tipo di crimine nei confronti dei palestinesi, a cui vanno aggiunti i crimini legislativi delle municipalità e del governo israeliano. Questi crimini, oltre ad essere impuniti, si ripetono da quasi 60 anni con il supporto dei democraticissimi Stati occidentali e dei democraticissimi Stati Uniti d'America, di cui Israele è da decenni il principale alleato in Medio Oriente, tanto da finanziarlo annualmente con quasi 4 miliardi di dollari di aiuti (militari), a cui nel 2022 ne verrà aggiunto un altro per "ricostituire" il sistema di difesa missilistica Iron Dome dopo l'ultimo conflitto a Gaza del maggio 2021.
Fin quando il democraticissimo occidente continuerà a fingere di non vedere l'apartheid messo in atto da Israele, quello che è stato ulteriormente rivelato ai funerali di Shireen Abu Akleh continuerà, così come i furti e lo sfruttamento di un popolo che si ripete da quasi 60 anni.
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